L’accordo sui dazi reciproci al 15% raggiunto tra Ue e Stati Uniti non basta ad azzerare le conseguenze negative per imprese e consumatori delle barriere volute da Donald Trump. L’Europa non è certamente consapevole e cerca di tutelare il suo tessuto produttivo dagli ostacoli alle vendite verso l’esterno e allo stesso tempo dall’eccessiva apertura alle merci estere nel suo mercato.
Tasse per gli esportatori
Per quanto siano gli importatori del Paese che impone i dazi a pagare la tariffa aggiuntiva sulle merci in ingresso, una piccola quota viene assorbita dall’esportatore attraverso una riduzione forzata dei prezzi. Ecco che i Paesi europei maggiormente penalizzati dalle barriere a stelle e strisce sono quelli con una più forte esposizione commerciale verso gli Stati Uniti. Nello specifico, il pil tedesco potrebbe subire una contrazione dello 0,3%, quello italiano dello 0,2%, mentre la Francia perderebbe circa lo 0,1% della crescita.
Al 15% concordato con Trump, per le imprese europee si aggiunge poi un altro elemento negativo: il deprezzamento del dollaro. Dall’insediamento di Trump (20 gennaio) il dollaro ha perso il 13% del suo valore rispetto all’euro. Così si apre un bivio per le aziende: mantenere invariati i prezzi in dollari abbassando quelli in euro (e dunque i propri ricavi), o rischiare di perdere competitività? Nessuna alternativa è ottimale.
Cercasi nuovi partner commerciali
Proprio per tutelare le proprie imprese da tali conseguenze l’Ue si sta muovendo ormai da quattro mesi per stringere nuovi accordi commerciali di scambio con altri Paesi o regioni del mondo. Si tratta però di negoziati complessi e che richiedono tempo.
Anche perché non è certo l’Ue l’unica vittima delle barriere di Trump: più di 90 Paesi in tutto il mondo sono finiti nel mirino statunitense. Così tantissimi esportatori cercano nuovi sbocchi per compensare le perdite subite sul mercato Usa e l’area più simile agli Stati Uniti in termini di composizione della domanda è proprio l’Unione europea. Ecco che la Commissione ha creato una «task force» con il compito di vigilare sulle importazioni, allo scopo di evitare che l’Unione venga investita da merci dirottate da Paesi terzi a seguito dei dazi commerciali, che potrebbero destabilizzare il mercato interno, introducendo un numero elevato di prodotti a prezzi eccessivamente ridotti. Ad esempio, secondo il National Board of Trade svedese, la Cina ridurrà le esportazioni verso gli Usa del 66% e incrementerà le esportazioni verso l’Europa del 7%.
Quali Paesi sono da tenere sotto controllo
Il nuovo meccanismo di sorveglianza consente alla Commissione Ue di registrare eventuali impennate delle importazioni e valutare l’adozione di misure tempestive ed efficaci per proteggere il mercato interno dell’Unione. Ad esempio dazi antidumping o anti-sovvenzione. Intanto è già accessibile una tabella della task force dell’esecutivo europeo che evidenzia a quali Paesi e categorie di prodotti l’Ue deve stare più attenta per evitare il rischio di fenomeni di trade diversion. Per ora è la Cina che preoccupa maggiormente: segnali di deviazioni commerciali di oltre il 10% si registrano per i prodotti tessili, per legno e carta, nonché per prodotti chimici, per macchinari e per attrezzature per il trasporto. C’è poi da fare attenzione alla Turchia quanto ai comparti della gomma e della plastica, dei macchinari e dei metalli. Lente sugli Usa invece, nota la Commissione, per le potenziali importazioni aggiuntive di prodotti chimici. E ancora si rischia un’impennata del 10% di importazioni in Ue da tutto il mondo di prodotti tessili, chimici, metalli e macchinari. (riproduzione riservata)
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