“A rischio i giovani e i piccoli studi”


I dazi del presidente Donald Trump applicati sui prodotti di decine di economie mondiali con lo scopo di risollevare l’economia a stelle e strisce sono entrati in vigore il 7 agosto. Come noto, per l’Ue, la percentuale dell’imposta è del 15% (il dazio medio che l’Europa applica sulle merci americane sta a 0,9%) ma per paesi come India e Brasile arriva fino al 50%. Sugli effetti di questa manovra ci sono ancora molte incertezze e soprattutto timori, anche a secondo delle categorie merceologiche. Ma ci sono anche delle categorie professionali che dovranno fare i conti con tutto ciò e fra queste i commercialisti. 
 
A commentare le conseguenze dell’introduzione dei dazi statunitensi, non solo dal punto di vista macroeconomico ma anche operativo, interviene Gianluca Dal Pozzo, presidente dell’Associazione nazionale commercialisti di Bologna, che mette in evidenza le ricadute concrete della misura anche sul mondo delle professioni: “Di fronte a scenari economici così mutevoli, il nostro lavoro diventa ancora più strategico. I dazi, pur non riguardando direttamente la nostra attività, modificano radicalmente il contesto nel quale operano le imprese nostre clienti. E quando cambia il contesto, cambiano le decisioni da prendere”.

 

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L’introduzione di barriere tariffarie obbliga le aziende a ripensare rapidamente molte variabili economiche: i margini, i listini, i rapporti commerciali. Il commercialista è chiamato a supportare queste scelte in tempi rapidi e con strumenti evoluti. “Significa costruire scenari alternativi, stimare l’effetto dei dazi sui flussi di cassa, valutare se convenga assorbire i nuovi costi o scaricarli sul cliente. Tutto questo – prosegue Dal Pozzo – avviene in un quadro che, da qualche anno, impone obblighi sempre più stringenti sulla continuità aziendale e sulla prevenzione della crisi”.

 

Dazi: dove si gioca la vera partita per le nostre imprese

Giovani professionisti e studi meno strutturati: chi ne fa le spese

Ma se le imprese subiscono un contraccolpo, anche il mondo professionale rischia di farne le spese. Le difficoltà economiche delle aziende si traducono spesso in una contrazione della domanda di consulenza. A farne le spese sono, in particolare, i giovani professionisti e gli studi meno strutturati: “Ecco perché riteniamo urgente che le misure compensative riguardino non solo le imprese esportatrici, ma anche i professionisti che ne costituiscono l’indotto. È necessario prevedere incentivi fiscali per sostenere la consulenza, accesso agevolato al credito e fondi dedicati per evitare un effetto domino che rischia di impoverire l’intero ecosistema produttivo” spiegano dal direttivo dell’associazione. 

 

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“Ripensare il modello di internazionalizzazione”

 

Il rischio è che, accanto alle difficoltà dei settori manifatturieri, si inneschi una crisi più ampia, in grado di erodere competenze e progettualità anche nel comparto professionale. Per evitarlo, servono visione e coordinamento.

“Questa può essere anche un’occasione per ripensare il nostro modello di internazionalizzazione. Dobbiamo aiutare le imprese a diversificare i mercati, investire nell’innovazione, promuovere la digitalizzazione. Ma per farlo serve un’Europa forte, capace di mettere in campo strategie comuni e dare voce alle proprie imprese – e ai propri professionisti – nei tavoli internazionali”.



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