C’è un’aria sospesa che si respira nelle zone industriali del Lazio. Un timore che non si vede ma si sente, forte e nitido, come l’eco di qualcosa che sta per arrivare.
I dazi americani voluti da Donald Trump non sono più solo una minaccia lontana: sono un’onda pronta ad abbattersi su un’economia regionale che ha appena ripreso a camminare.
Nei capannoni tra Viterbo e Frosinone, nei laboratori agroalimentari della Sabina, negli stabilimenti di cosmetica tra Roma e Latina, si parla poco ma si osserva molto.
Le parole d’ordine sono “attesa” e “incertezza”. L’export, che per molti è stato il motore della rinascita post-crisi, rischia di incepparsi. E le imprese che si affacciano sul mercato statunitense, oggi, si sentono sull’orlo di un burrone.
I settori simbolo – vino, olio, pasta, meccanica di precisione – sono i più esposti. Quelli che raccontano il meglio del made in Lazio nel mondo. E ora rischiano di vedere vanificati anni di lavoro, investimenti, relazioni costruite con fatica.
Trump non guarda in faccia nessuno. E mentre a Roma si attende una risposta dal governo, nelle fabbriche la parola “dazio” suona come una minaccia sorda. Come un prezzo da pagare senza aver sbagliato nulla.
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