Cos’è lo European Accessibility Act (EAA) e come adeguarsi


Garantire l’accessibilità digitale anche alle categorie più fragili, come i disabili e gli anziani, permettendo al contempo una competitività più equa tra aziende: sono questi gli obiettivi principali dell’European Accessibility Act (EAA).

La Direttiva europea è stata approvata il 17 aprile del 2019 e rappresenta una vera svolta giuridica e culturale, perché determina un cambio di paradigma in tema di inclusività: non più considerata infatti come un elemento opzionale, diventa strutturale e di grande rilevanza in merito alla progettazione, alla tecnologia e all’innovazione delle aziende europee.

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Quando entra in vigore in Italia l’EAA

In Italia, la Direttiva europea è stata recepita con Decreto Legislativo n.82 del 27 maggio 2022, il quale ha stabilito che l’European Accessibility Act sarà pienamente operativo il 28 giugno 2025, quindi tra poco tempo.

La normativa mira a promuovere un mercato unico digitale accessibile, che si allinea ai principi della convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Da questo momento in poi, dunque, non soltanto le aziende pubbliche, ma anche diverse realtà del settore privato sono chiamate ad abbattere le barriere digitali.

Il mancato adeguamento potrà avere anche delle conseguenze molto serie come sanzioni economiche, ritiro dei prodotti dal mercato e danni reputazionali.

Di base, l’EAA nasce anche per colmare un vuoto normativo evidente, infatti, finora ogni Stato europeo aveva regole diverse in materia di accessibilità, e molte aziende non avevano alcun obbligo concreto, se non quelle del settore pubblico.

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La Direttiva 2019/882 cambia questo scenario, introducendo una base normativa comune e vincolante, pensata per tutelare i diritti delle persone con disabilità anche nel contesto digitale. L’intento è quindi duplice: da un lato, facilitare l’accesso ai servizi digitali per chi oggi si trova escluso da interfacce, contenuti o funzionalità non accessibili; dall’altro, creare condizioni eque di concorrenza per le imprese, che fino a ieri si trovavano a competere in un mercato asimmetrico.

Quali operatori economici dovranno adeguarsi

L’ambito di applicazione del decreto è molto preciso, infatti, si rivolge alle aziende private che offrono servizi o prodotti digitali al consumatore. In particolare, le aziende direttamente coinvolte dalla nuova direttiva fanno parte di un preciso segmento del settore di riferimento. Parliamo, dunque, delle aziende con:

  • oltre 10 dipendenti;
  • che generano un fatturato annuo superiore a 2 milioni di euro;
  • che offrono prodotti o servizi digitali al pubblico, tra quelli indicati dalla normativa.

Non tutte le aziende, quindi, sono tenute ad adeguarsi, come quelle con meno di dieci dipendenti e con un fatturato sotto i 2 milioni di euro annuo, che sono considerate microimprese: per loro l’accessibilità digitale resta, al momento, facoltativa.

Un caso in cui è possibile richiedere, invece, un’esenzione è quello dell’onere sproporzionato, che può essere invocato da una azienda quando l’adeguamento ai requisiti di accessibilità comporta una “modifica sostanziale del prodotto o del servizio, tale da alterarne la natura o rappresentare un onere economicamente sproporzionato per l’impresa”.

Prodotti e servizi digitali coinvolti

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L’European Accessibility Act riguarda tutti i soggetti che mettono a disposizione del pubblico prodotti e servizi coperti dalla direttiva, che non si limita infatti ad indicare genericamente i siti web e le applicazioni, ma contempla una serie molto più ampia di prodotti e servizi con componenti digitali. I principali ambiti coperti dalla direttiva sono:

  • siti web e app mobile accessibili al pubblico;
  • servizi di e-commerce come prenotazioni online, ticketing e marketplace;
  • servizi bancari al consumo, tra cui home banking e le app delle banche;
  • servizi di comunicazione elettronica, inclusi telefonia e connettività;
  • terminali self-service, come ATM, biglietterie automatiche, chioschi digitali;
  • piattaforme di media audiovisivi: Tv on demand, servizi di streaming e software per la fruizione;
  • lettori e-book, e-reader e tecnologie per la lettura;
  • sistemi di comunicazione di emergenza come il numero unico europeo 112;
  • servizi di trasporto passeggeri su lunghe distanze, ed esempio ferrovie, trasporto marittimo, aereo e interurbano su gomma.

Appare chiaro, che il legislatore europeo pensa ad una interazione digitale interamente fruibile da persone con diverse forme di disabilità, siano esse sensoriali o cognitive. Motivo per cui è necessario rispettare degli standard tecnici precisi.

I principi POUR: i requisiti tecnici di accessibilità da rispettare

Ma quali sono in concreto i requisiti tecnici di accessibilità che le imprese italiane dovranno rispettare? Per chiarire bene il concetto, bisogna partire dal fatto che la base tecnica di conformità è fondata su quattro principi fondamentali: Percepibile, Utilizzabile, Comprensibile, Robusto (POUR).

In questo caso, dunque, per essere percepibile un’interfaccia deve presentare dei contenuti anche in formati alternativi, come le trascrizioni per l’audio o i sottotitoli per i video. Inoltre, per essere facilmente utilizzabili da chiunque, i dispositivi devono consentire di navigare in toto anche soltanto dalla tastiera (senza l’uso del mouse) o con tecnologie assistive.

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Chiaramente, il linguaggio utilizzato deve essere facilmente comprensibile e il contenuto deve essere leggibile da screen reader. Il tutto deve essere compatibile anche con le future tecnologie assistive, in modo tale da risultare durevole nel tempo e, quindi, robusto. 

Non solo i siti web e le App, però, dovranno essere strutturati in modo accessibile, perché dovranno esserlo anche i documenti Pdf. I terminal self-service dovranno offrire guide vocali, pulsanti tattili e feedback uditivi. Il design deve essere chiaro e garantire un sufficiente contrasto cromatico, font leggibili e responsività su mobile.

A valutare e garantire l’accessibilità dei contenuti digitali i riferimenti tecnici principali sono le WCAG, Web Content Accessibility Guidelines, cioè le linee guida che descrivono in modo dettagliato le caratteristiche che un sito web o un’app devono avere per essere considerati accessibili. La versione attualmente utilizzata in ambito normativo è la WCAG 2.1 ed è articolata su più livelli di conformità.

Come mettersi in regola

Il processo di adeguamento imposto dall’European Accessibility Act prevede diverse fasi operative che coinvolgono aspetti tecnici, legali e giuridici. Per cui è bene che le aziende seguano uno schema preciso.

In primis, è bene valutare l’attuale stato dell’accessibilità digitale della propria azienda, verificando che non siano presenti delle barriere come immagini prive di descrizione testuale, contenuti non navigabili da tastiera, testi o documenti non leggibili dagli screen-radar, layout o componenti non compatibili con le tecnologie assistive.

Fatto questo è possibile passare alla fase successiva, cioè quella della rimozione delle non conformità. Durante questo passaggio, deve essere predisposta anche la Dichiarazione di Accessibilità, che deve essere pubblica, aggiornata e deve includere un canale di feedback per gli utenti.

Una volta adeguate le strutture si dovrà procedere a formare il personale, perché l’accessibilità deve diventare una parte integrante della cultura di quel determinato prodotto o servizio. Ovviamente, si dovranno attivare dei sistemi di monitoraggio affinché l’inclusività e l’accessibilità siano sempre garantite.

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Le sanzioni previste per il mancato adeguamento

Ad occuparsi della vigilanza sul rispetto degli obblighi di accessibilità ci sarà l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), che ha il compito di verificare la conformità e gestire eventuali segnalazioni da parte degli utenti. Le sanzioni previste in caso di mancato adeguamento non sono simboliche: si parla di ammende fino a 40.000 euro, secondo quanto stabilito dal D.Lgs. 82/2022.

Ma oltre all’impatto economico, il vero rischio è reputazionale. Le violazioni, se accertate, possono essere pubblicate direttamente sul sito dell’ente di vigilanza, restando disponibili nei motori di ricerca per mesi, se non anni.

Tutto ciò ovviamente può influire sulla brand reputation dell’azienda. Inoltre, a tutto questo si aggiunge il rischio di escludere automaticamente una quota significativa di utenti, che non solo abbandoneranno il servizio, ma potrebbero attivare contenziosi o segnalazioni formali.



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