“Apprezzate le parole, ma la realtà è un’altra”. È questo, in sintesi, il commento di Donato Capece, Segretario Generale del SAPPE – Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, al termine della giornata “Recidiva Zero”, promossa da CNEL e Ministero della Giustizia e dedicata al lavoro in carcere.
Capece ha espresso gratitudine alle istituzioni per l’attenzione mostrata verso il Corpo di Polizia Penitenziaria:
«Ringrazio sinceramente il presidente del Senato Ignazio La Russa, il presidente del CNEL Renato Brunetta, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il sottosegretario Andrea Ostellari, il capo del DAP Stefano Carmine De Michele e il capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità Antonio Sangermano per le parole di vicinanza, stima e anche affetto rivolte ai Baschi Azzurri».
Ma, subito dopo i ringraziamenti, arriva la critica frontale:
«Alle belle parole non corrispondono i fatti», dichiara Capece. «Oggi solo 3.000 dei 60.000 detenuti presenti in Italia lavorano per imprese esterne, nonostante il lavoro riduca la recidiva al 2% e siano previste agevolazioni fiscali per le aziende. La legge Smuraglia – che prevede crediti d’imposta fino a 520 euro mensili per ogni detenuto assunto – è ancora poco applicata».
Capece non nasconde l’amarezza per l’assenza di rappresentanti del Corpo tra i relatori dell’iniziativa:
«Gli organizzatori non hanno ritenuto opportuno ascoltare chi rappresenta gli agenti penitenziari. Avrebbero sentito parole scomode, ma vere, sul fallimento del sistema carcerario nel garantire un reale reinserimento».
Secondo Capece, il carcere italiano soffre di ozio forzato e di una mancanza strutturale di attività formative e lavorative qualificate:
«Il 70% dei detenuti, secondo alcune stime, torna a delinquere. Poco meno del 30% ha un lavoro, ma spesso si tratta di mansioni saltuarie e non professionalizzanti. Solo il 5% è impiegato in attività qualificanti spendibili dopo la pena».
Le proposte del SAPPE
Capece rilancia alcune proposte operative:
- Obbligatorietà del lavoro per tutti i detenuti, con parte dello stipendio destinato al mantenimento in carcere e il resto alla famiglia;
- Certificazioni professionali anonime, per evitare stigmi sociali post-detenzione;
- Impiego dei detenuti nel recupero ambientale, ad esempio nella pulizia di fiumi, spiagge e boschi.
«Il lavoro – conclude Capece – è per legge il perno del trattamento penitenziario. È tempo che alle parole seguano i fatti, per la dignità dei detenuti e la sicurezza della società».
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