Reskilling, in 5 anni il 59% dei lavoratori tornerà a “studiare”


La tecnologia corre veloce e sta cambiando il mondo, soprattutto per quanto riguarda il lavoro. Tenersi al passo con le novità e con i nuovi strumenti diventa necessario per le aziende che si ritrovano con dipendenti senza le necessarie competenze. Secondo il Future of jobs report 2025 del World Economic Forum in pochi anni la forza lavoro odierna dovrà essere sottoposta a reskilling, ovvero formata di nuovo.

Cos’è il reskilling e quali competenze mancano

Con il termine reskilling si intende la riqualificazione delle competenze. In pratica si tratta di far acquisire a un lavoratore nuove conoscenze che rendano il suo curriculum in linea con le richieste del mercato del lavoro.

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Il Future of jobs report 2025 del World Economic Forum ha lanciato un allarme evidenziando come entro il 2030 il 59% della forza lavoro globale dovrà essere formata di nuovo. Questa esigenza non riguarda solo i settori tecnologici, ma ogni professione.

Nel 29% dei casi i lavoratori potranno restare nel proprio ruolo, nel 19% dovranno essere ricollocati. Ma c’è anche un 11% destinato a non ricevere alcuna formazione, con un concreto rischio di esclusione dal mercato.

Per restare competitivi nel mondo del lavoro, il reskilling è ormai una priorità. Le competenze più richieste nel 2025 sono un mix di tecnologia (intelligenza artificiale, big data, cybersecurity), capacità cognitive (pensiero critico, risoluzione di problemi) e soft skills (resilienza, leadership, comunicazione).

Per i lavoratori significa prepararsi a cambiare mestiere più volte nell’arco della carriera.

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Il reskilling e il ruolo delle aziende

Il problema del reskilling non investe solo i singoli lavoratori ma anche le aziende. La imprese sono consapevoli della situazione: per il 63% dei datori di lavoro, il principale ostacolo all’innovazione è proprio il gap di competenze.

Eppure solo la metà delle imprese prevede di ricollocare i propri dipendenti verso ruoli in crescita. Il 40% si prepara invece a ridurre il personale con competenze considerate obsolete.

Il Workplace learning report 2025 di LinkedIn conferma che le aziende che investono in modo strutturato sullo sviluppo delle competenze hanno migliori performance, maggiore retention e una più alta capacità di attrarre talenti, ma solo il 36% delle imprese ha un programma di sviluppo di carriera definito e misurabile.

Tra i gruppi che stanno guidando il cambiamento ci sono Amazon, che ha riqualificato oltre 200.000 dipendenti in 14 Paesi con programmi retribuiti; Ibm che utilizza l’intelligenza artificiale per suggerire ai propri lavoratori i ruoli interni più compatibili con il loro profilo; Walmart che ha costruito pipeline formative per trasformare addetti vendita in tecnici o autisti, rispondendo alla carenza di manodopera. Infine Siemens ha lanciato “MyGrowth Hub”, un sistema interno che analizza i gap di competenze e propone percorsi personalizzati.

Cosa sta facendo l’Italia sulle nuove competenze

In Italia il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha messo a disposizione 1,7 miliardi di euro per il Piano nuove competenze, oltre al rafforzamento della Garanzia occupabilità dei lavoratori (Gol), con l’obiettivo di coinvolgere 3 milioni di persone entro quest’anno.

A questi si aggiunge il rilancio degli Its (Istituti tecnici superiori), ritenuti cruciali per colmare il divario tra domanda e offerta di competenze. Il problema è però il rischio che questi programmi s’interrompano dopo il 2026, quando finiranno i fondi del Pnrr.





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