Moda, ex Ilva e incentivi fermi: fallimento Urso sull’industria


Gli incentivi di Transizione 5.0 arrancano: 4,5 miliardi di agevolazioni non sono stati chiesti per la farraginosità delle procedure. Nello staff spicca la factotum Fantini ma lascia l’altro segretario Cito. E manca il portavoce

C’è il caso dell’ex Ilva di Taranto, ancora alla ricerca di una soluzione, con tutto il peso ambientale, sociale, oltre che economico. Nelle prossime ore ci sarà un altro incontro al ministero delle Imprese di Adolfo Urso per cercare una soluzione al colosso siderurgico.

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Ogni mese sembra quello decisivo, ma il futuro resta una nebulosa. Ci sono poi le difficoltà del settore della moda, con una flessione del fatturato compresa tra il 5,8 e il 7,7 per cento nei primi mesi del 2025, e il crollo dell’automotive, con un calo del 22,4 per cento nell’anno in corso 2025, secondo i dati Anfia.

Due simboli del made in Italy che sfioriscono prima dell’impatto dei dazi imposti dagli Usa. Ma più di tutto un contatore racconta il bilancio deficitario del ministro Urso: il 75 per cento delle risorse stanziate per Transizione 5.0 è ancora nei cassetti. Un piano di incentivi largamente inutilizzato. Il motivo? Norme che richiedono modelli da compilare, prevedono restrizioni e troppa burocrazia. Un percorso a ostacoli per gli imprenditori che ha scoraggiato la richiesta delle agevolazioni, nonostante i correttivi apportati.

Transizione flop

I numeri del Gestore servizi energetici (Gse), a cui è stato affidato il coordinamento di Transizione 5.0, riferiscono che su 6,3 miliardi a disposizione, finora è stato “prenotato” un miliardo e mezzo di euro per progetti «non ancora completati». Solo 152 milioni di euro sono stati usati per iniziative portate a termine. Poco per uno strumento in funzione da più di un anno e mezzo.

Resta che, a conti fatti, 4 miliardi e mezzo di euro non sono stati richiesti a ormai quattro mesi dalla scadenza. La fotografia perfetta dell’operato del governo guidato da Giorgia Meloni sulle politiche industriali affidate a Urso. Transizione 5.0 rientra nel Piano RepowerEu per favorire la trasformazione digitale ed energetica delle aziende italiane.

Contabilità

Buste paga

 

Era stata pensata, nel 2024, con lo scopo di concedere crediti di imposta per l’acquisto di beni strumentali, la formazione del personale nella gestione dei processi di digitalizzazione.

Al Mimit di Urso ci sono poi gli oltre 30 tavoli di crisi aperti, da Conbipel a Natuzzi, passando per la sede di Termoli di Acc Italia. Mentre altri 30 tavoli di crisi in fase di monitoraggio.

A chiudere il cerchio c’è la produzione industriale che sta colando a picco, trascinata in basso proprio dal tessile e dall’automotive. Il calo è stato costante. Da inizio 2025 è sempre diminuito su base annua con l’eccezione del mese di marzo quando si è registrato un piccolo rimbalzo del +0,3 per cento.

Di fronte a fatti e numeri, le gaffe accumulate sono una nota di colore, come il caso della parola inglese factory (fabbrica) tradotta con fattoria. In mezzo ci sono iniziative finite nel dimenticatoio come il «carrello tricolore» per contenere l’inflazione. L’adesione era su base volontaria da parte degli esercenti che avrebbero bloccato i prezzi di alcuni prodotti. Dopo una fase sperimentale di qualche mese, l’iniziativa è stata abbandonata.

Staff turbolento

Mentre l’industria arranca, al ministero di via Veneto regna una situazione caotica. Lo staff di Urso resta uno dei più turbolenti del governo Meloni. La capa della segreteria, Rita Fantini, come raccontato da Domani, ha accresciuto a dismisura il suo potere, decidendo spesso chi debba vedere o meno il ministro, gestendo dossier delicati.

E su Fantini, o meglio sulle vecchie assunzioni in Cassa depositi e prestiti, è circolata un’interrogazione dal senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, datata 2021, rivolta all’allora ministro dello Sviluppo economico (del Conte II), Stefano Patuanelli.

Gasparri chiedeva delucidazioni su «alcune nuove designazioni in Cdp» dove, come scritto ieri da questo giornale, Fantini è entrata proprio quattro anni fa per curare principalmente la comunicazione e l’organizzazione eventi. «Tali vicende – scriveva Gasparri – sarebbero state seguite da Stefano Buffagni (viceministro allora, ndr) ma sembrerebbe inopportuno procedere a nomine considerato che a causa della pandemia gli eventi sono annullati». Da qui le richieste del senatore, tra cui una assai particolare: «Qual è il curriculum delle persone ingaggiate?».

Intanto, qualche giorno fa al Mimit si è dimesso il capo della segreteria tecnica, Marco Maria Cito, proveniente dall’Ice, l’istituto per attivare investimenti esteri. Ci sarebbero state incomprensioni con il ministro. Al suo posto sta per arrivare Mattia Losego, già dirigente Mimit.

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Nell’andirivieni negli uffici di palazzo Piacentini, la questione riguarda anche la comunicazione, molto cara a Urso. Eppure manca ancora un portavoce, dopo che Giuseppe Stamegna è uscito a fine aprile, per scelta personale, dagli uffici del Mimit (sommava anche l’incarico di capo ufficio stampa), e ora ancora in stand-by.

Stamegna era subentrato a Gerardo Pelosi, dimissionario dopo pochi mesi per incomprensioni con il ministro. Per il momento è stato coperto solo l’incarico di capo ufficio stampa, con la promozione di Fabio Miotti, vice di Stamegna nei mesi scorsi. Di sicuro è un incarico che richiede un super lavoro. Perché è complicato spiegare il flop della produzione italiana nell’èra di Urso ministro.

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