L’upcycling delle bucce è un’attività funzionale


La parola sostenibilità è stata molto sfruttata negli ultimi anni, troppo. È stata strumentalizzata, con un utilizzo poco oculato e spesso fuori luogo. Dopo una fase di inevitabile sospetto, e poi di rigetto collettivo, ora i tempi sono maturi per riprendere dimestichezza con un termine che in sé non ha mai avuto nulla di malevolo, anzi: cercare soluzioni che puntino al miglior equilibrio possibile tra le istanze di ambiente, economia e società è cosa buona e giusta. Farlo con trasparenza, coerenza e capacità tecnica può dar vita ad aziende e prodotti che in modo legittimo possono dichiararsi orientate alla sostenibilità, senza far storcere il naso a nessuno.

In questi termini il riciclo degli scarti di produzione è un processo che dà molta soddisfazione: si prende un qualcosa che era rifiuto, destinato a discarica o allo smaltimento interno, con impiego di tempo e risorse, che si traducono in costi, e con effetti a volte inquinanti, e lo si trasforma in un bene che ha un utilizzo, quindi un valore di mercato, e da questo si generano profitti. Win-win, per ambiente, consumatori e imprenditori.

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Restringendo il campo al settore alimentare, sono ormai tante le realtà che impiegano la materia di scarto di una produzione di generi alimentari per un uso che sia diverso e migliore che riempire dei bidoni – del compost, nel migliore dei casi – e molte ve le abbiamo raccontate su queste pagine: dal Consorzio di San Daniele che recupera il residuo derivante dal processo di salatura come antigelo stradale alle Distillerie Bonollo che producono biometano dagli scarti liquidi della distillazione, da Fruitleather Rotterdam che trasforma le bucce di mango in pellame vegetale a ID.EIGHT, un brand di sneakers prodotte con materiali derivanti da bucce di mela e vinacce, e ancora Bi-rex genera carta partendo da scarti provenienti da agrumi, caffè, birra.

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@NoW-NoWaste

A parte il caso dei birrifici che impiegano il pane invenduto per sostituire in parte il malto d’orzo, però, nella stragrande maggioranza dei casi dallo scarto alimentare si ottiene qualcosa che alimentare non è. Ricavare invece un nuovo prodotto o un ingrediente edibile, buono, salutare e funzionale è una sfida impegnativa ma anche appagante, in un terreno fertile e ancora molto poco sfruttato, dove le aziende e start up che operano sono principalmente realtà molto giovani o trainate da giovani. Non per niente, secondo il terzo Rapporto dell’Osservatorio Sodalitas sulla Sostenibilità Sociale d’Impresa presentato a marzo 2025, la fascia di età tra i 18 e i 24 anni è quella che si distingue per una maggiore consapevolezza e attenzione alla sostenibilità: rispetto alla media, questi ragazzi danno più importanza a temi come cambiamento climatico e consumo responsabile, sono molto più sensibili alle scelte delle aziende che riguardano questi temi e le considerano determinanti nelle decisioni di acquisto.

Dunque un legame diretto, quello tra nuove generazioni e orientamento all’upcycling, che si specchia in tante giovani imprese. Una di queste ha preso vita da appena due mesi a Monselice, in Veneto, raccogliendo proprio quella difficile sfida di generare e distribuire prodotti alimentari a partire dagli scarti di altre produzioni. Si chiama NoW – NoWaste, ed è tra le prime realtà in Europa interamente dedicate alla distribuzione di materie prime alimentari recuperate da eccedenze o sottoprodotti industriali.

Filippo e Giacomo Ostellari, entrambi under 30, fratelli e fondatori, per quanto giovani avevano già esperienza nel settore gastronomico e della sostenibilità (Filippo ha fondato nel 2020 e poi venduto nel 2024 Prog.Eco Srl, società specializzata nella raccolta e recupero dell’olio esausto alimentare, Giacomo collabora nel catering di famiglia mentre matura esperienza in campo hospitality in realtà alberghiere di alto livello, come il Danieli di Venezia).

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Filippo e Giacomo Ostellari

A partire da bucce di agrumi, di zenzero, scarti di carciofo, fondi di caffè, okara di avena e di riso (la parte rimanente dopo l’estrazione del latte vegetale), resti di pomodoro, melagrana e altri rifiuti vegetali con vari procedimenti tecnici è possibile ricavare delle farine pensate per rispondere alle esigenze di produttori di pane, pasta, dolci, snack, salse, tisane, burger vegetali e prodotti nutraceutici. hanno contattato e realizzato partnership con produttori all’avanguardia e hanno ideato un sistema di distribuzione B2B specializzato in questo settore. L’obiettivo? «Rendere l’innovazione circolare accessibile e concreta», riepiloga Filippo Ostellari.

Tra i loro fornitori tre realtà italiane forniscono prodotti la cui matrice (i vegetali di origine della farina) è di origine certificata italiana, tracciati e spesso disponibili anche in versione biologica certificata, mentre per quanto riguarda il caffè il fornitore di farina da fondi recuperati (sempre biologici) è stato individuato in Danimarca.

Le farine proposte sono ricche di fibre e a seconda della materia prima di partenza contengono antiossidanti, polifenoli, minerali, proteine vegetali. Spesso prive di glutine, sono farine da utilizzare in piccola percentuale e in combinazione con farine convenzionali. Clienti come industrie alimentari, pastifici, pizzerie e panifici, aziende dolciarie, gelaterie, produttori di integratori e altre startup le utilizzano quindi per arricchire, colorare, profumare e dolcificare in maniera naturale, ed etica, i propri prodotti.

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@NoW-NoWaste

Al momento sono in fase di studio anche nuove collaborazioni volte alla distribuzione di farine indicate per l’abbassamento del picco glicemico, un trend alimentare che sta generando una domanda non indifferente da parte dei consumatori finali.

L’avvio della società è avvenuto naturalmente dopo una fase di studio del mercato, ma con meritata soddisfazione Filippo ci racconta che la crescita della domanda è poi risultata essere superiore a quanto previsto e che soprattutto le big company orientate alla grande distribuzione si stanno dimostrando molto interessate a questo tipo di prodotto, come riflesso della maggior attenzione che i clienti finali stanno dimostrando nei confronti di ciò che acquistano e consumano. Tra le referenze più richieste al primo posto si pone già nettamente la farina ricavata dalla sansa di mirtillo (il residuo che rimane dopo l’estrazione del succo, composto principalmente da semi e bucce), seguono in misura variabile farina di limone e di pomodoro, ma anche gli altri prodotti stanno guadagnando la loro parte di clienti affezionati.

L’impegno di Filippo e Giacomo però non si limita solo al passaggio distributivo. Oltre che fornitori i fratelli Ostellari si pongono anche come facilitatori, collaborando con i propri clienti anche sul piano tecnico per adattare le ricette e ottimizzare gli impasti ottenuti. Lo spiega con entusiasmo Filippo Ostellari: «Noi ci poniamo come ponte tra l’innovatore agroalimentare, che è il produttore, e l’innovatore che porterà il prodotto al consumatore finale. Siamo in costante collaborazione con le due parti, per necessità tecniche o pratiche siamo disponibili noi in prima persona e anche come interlocutori con i fornitori a monte». Dunque questa nuova e giovane azienda favorisce un doppio ciclo virtuoso, che riguarda sia la materia prima agroalimentare, sia le persone coinvolte in un processo che giustamente può essere definito come orientato alla sostenibilità.



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