La Cina è vicina. E con Donald Trump alla Casa Bianca è anche ingombrante. Giorgia Meloni prova così a limitare la presenza delle aziende cinesi nell’economia nazionale. L’agenzia di stampa economica Bloomberg scrive che il governo si prepara a una “stretta”, per impedire alle imprese del Paese asiatico di avere partecipazioni strategiche in quelle italiane ed evitare così potenziali tensioni con gli Stati Uniti.
Da Palazzo Chigi non commentano, ma non smentiscono la notizia. Fonti di governo spiegano all’Huffpost che “ci sarà un uso costante del golden power, come del resto stiamo facendo”, precisando che è improbabile tuttavia che possa essere varata una normativa anticinese ad hoc. “Molto probabilmente non serve – spiegano – perché il golden power e il regolamento dell’Unione europea sugli appalti internazionali già offrono strumenti adeguati. In ogni caso non si tratta di adeguarsi all’orientamento statunitense, quanto di far valere il principio di reciprocità”.
Sul tavolo della presidente del Consiglio c’è un dossier sulle aziende italiane danneggiate dai dazi americani. Un capitolo a sé è costituito da quelle partecipate da imprese di Stati terzi che gli Usa hanno messo al bando. La Cina è al primo posto.
Oggi Trump ha prorogato di altri 90 giorni l’entrata in vigore del nuovo regime tariffario verso Pechino, ma i rapporti tra gli Usa e il colosso cinese restano tesi. Alla Pirelli lo sanno bene. Da tempo il management discute – per dirla con il vicepresidente Marco Tronchetti Provera – di come stare “con gli Usa e con la Cina”. A giugno il governo di Trump ha avvertito l’azienda che i veicoli dotati della sua tecnologia avanzata di sensori CyberTyre subiranno restrizioni di vendita a causa del coinvolgimento di Sinochem. È diventato chiaro che gli investimenti cinesi in Pirelli possono comprometterne le prospettive negli Usa. Un aspetto su cui gli azionisti italiani e quelli cinesi hanno opinioni contrastanti.
Dopo l’appello al governo del presidente di Confindustria Emanuele Orsini a difendere Pirelli, il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha aperto all’utilizzo del golden power. Il governo ha avviato interlocuzioni con l’amministrazione Trump per avere il quadro esatto delle ricadute. Per Pirelli sarebbe la seconda volta in cui l’esecutivo utilizza il golden power, in questo caso lo farebbe nel tentativo di limitare la quota di partecipazione societaria di Sinochem. Se scendesse dal 37 al 25 per cento – è l’auspicio – sarebbe compatibile con le nuove leggi statunitensi.
Ma la presenza cinese potrebbe essere ingombrante anche per alcune controllate dello Stato, come Cassa Depositi e Prestiti Reti (partecipata da State Grid Corporation of China, che controlla tra l’altro una quota di Terna, Snam e Italgas) ed Ansaldo Energia. In questo caso, anche se Shanghai Electric ha ridotto la sua partecipazione dal 40 allo 0,5 per cento, potrebbe avere problemi a partecipare a gare negli Usa, considerato il settore strategico in cui opera. In totale sono 700 le imprese italiane in cui figura capitale cinese.
Fonti di governo comunque ribadiscono che è improbabile che si arrivi a un testo normativo ad hoc, una sorta di conventio ad excludendum contro Pechino. Ci sarà, invece, un “utilizzo attento e costante del golden power, come del resto si sta facendo e si è già fatto proprio nel caso di Pirelli nel 2023. La disciplina del golden power, così com’è strutturata, sia a livello comunitario che nazionale, è più che adeguata ad offrire tutte le protezioni necessarie dall’industria cinese”.
Parlando con Bloomberg, un portavoce del ministero degli Affari Esteri cinese si è augurato che “l’Italia offra un ambiente imprenditoriale equo, giusto e non discriminatorio per le imprese cinesi e tuteli efficacemente i loro legittimi diritti e interessi”. Ma dal governo spiegano che non si tratta di discriminare le aziende di Pechino, quanto di far valere il criterio di reciprocità fissato a livello europeo e vincolante per gli Stati.
Di precedenti ce ne sono diversi, ormai. Il 31 marzo 2021 il governo di Mario Draghi ha bloccato l’acquisizione del 70% di LPE – azienda italiana produttrice di componenti per circuiti integrati – da parte della cinese Shenzhen Investment Holdings. In ambito europeo la Commissione Europea ha appena escluso gli operatori economici della Repubblica Popolare Cinese da tutte le procedure di gara per dispositivi medici con valore stimato pari o superiore a 5 milioni di euro. L’esclusione vale anche per i beni oggetto dell’appalto: non sarà possibile fornire dispositivi di origine cinese per un valore superiore al 50% dell’importo contrattuale.
Per il governo di Giorgia Meloni si tratta di un difficile esercizio di equilibrismo. Dopo aver disdetto la partecipazione dell’Italia al programma della Via della Seta, la premier nel corso di una visita a Pechino da Xi Jinping nel luglio del 2024 ha riallacciato i rapporti anche economici, in modo considerato proficuo anche dal punto di vista del governo cinese. Ora un nuovo slalom tra le posizioni trumpiane e quelle cinesi. Con la speranza che l’ulteriore tregua di 90 giorni sui dazi verso la Cina porti bene anche all’Italia.
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