Permettere a più lavoratori di andare in pensione a 64 anni: sì, ma con quale costo per i conti pubblici?
Il governo, sotto la spinta della Lega, ragiona sull’accesso alla pensione anticipata a 64 anni anche per altre categorie, partendo da quei lavoratori che hanno versato una parte di contributi con il sistema misto, come ha dichiarato il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon.
Pensione a 64 anni per tutti, quali conseguenze
Ma cosa succederebbe se la pensione a 64 anni fosse garantita per tutti? L’ipotesi di ridurre l’età pensionabile a 64 anni per tutti i lavoratori, senza vincoli aggiuntivi o penalizzazioni, comporterebbe un aumento immediato e permanente della spesa previdenziale, incidendo in modo strutturale sui conti pubblici italiani.
Le simulazioni elaborate dal Centro studi di Unimpresa, su dati della Ragioneria generale dello Stato, quantificano in 120.000/160.000 il numero di nuovi pensionati aggiuntivi per ciascun anno di applicazione nei primi 5 anni, con un impatto che già nel 2025 porterebbe la spesa per pensioni dal 15,3% al 15,6% del Pil.
Il divario rispetto allo scenario a normativa vigente si allargherebbe negli anni successivi, arrivando al 16,2% nel 2030 contro il 15,7% previsto oggi, e al 17,7% nel 2040 rispetto a un livello di riferimento del 17,1%. L’effetto si manterrebbe nel tempo: anche al 2070 la spesa resterebbe più alta di circa mezzo punto di Pil, 14,5% contro 14% nello scenario base. In valori assoluti, il maggiore esborso cumulato ammonterebbe a circa 40 miliardi di euro tra il 2025 e il 2029 (a prezzi costanti) e tra 160 e 180 miliardi entro il 2045 (a prezzi 2020).
Pensioni più basse
Il meccanismo alla base dell’aggravio è duplice:
- da un lato la maggiore durata media delle prestazioni legata all’uscita anticipata;
- dall’altro la riduzione della base contributiva dal momento che i lavoratori lascerebbero il mercato prima e versando meno contributi.
Ed anche in presenza di assegni pensionistici medi più bassi, per effetto del calcolo contributivo su una carriera più breve, l’ampliamento della platea e l’aumento della longevità media dei beneficiari genererebbero una pressione destinata a durare sulle finanze pubbliche.
L’impatto non si limiterebbe ai conti previdenziali. Sul fronte macroeconomico, il rapporto tra occupati e pensionati peggiorerebbe, con un tasso di attività più basso e un potenziale di crescita ridotto. In prospettiva intergenerazionale, la misura aumenterebbe il trasferimento implicito di risorse a favore delle generazioni attuali, scaricando oneri futuri sui giovani lavoratori e sui contribuenti di domani.
Il presidente di Unimpresa Paolo Longobardi, invita alla prudenza:
Ogni scelta ha un costo e richiede responsabilità. In un momento in cui il Paese ha bisogno di rilanciare gli investimenti, sostenere le imprese e rafforzare l’occupazione giovanile, è fondamentale indirizzare le risorse pubbliche verso ciò che genera crescita. Non possiamo permetterci scelte miopi che rischiano di compromettere la sostenibilità finanziaria e penalizzare le nuove generazioni.
La spesa pensionistica
Le proiezioni ufficiali a legislazione vigente stimano una spesa pensionistica pari al 17,1% del Pil nel 2040, per poi scendere gradualmente al 14% nel 2070 grazie all’adeguamento automatico dei requisiti anagrafici alla speranza di vita e alla progressiva maturazione del metodo contributivo.
Un abbassamento immediato dell’età pensionabile interromperebbe questa traiettoria, fissando un livello di spesa più alto per decenni e rendendo necessarie misure correttive, come aumenti di aliquote contributive, tagli alle prestazioni o ricorso a fiscalità generale al fine di mantenere in equilibrio il sistema.
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