Il Consiglio federale, il Governo svizzero a Berna, corre ai ripari dopo l’entrata in vigore questa mattina alle ore 06.01 delle tariffe doganali – o dazi – voluti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
In una conferenza stampa giovedì pomeriggio, la presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter, assieme al consigliere federale – ministro responsabile delle finanze vodese Guy Parmelin – non ha nascosto la criticità del momento, invitando il Paese a «prepararsi a un periodo difficile per sgravare l’economia e sostenere al meglio i lavoratori».
Di fronte ai media convocati il giorno dopo la trasferta a Washington, i due politici non hanno celato una certa preoccupazione per l’impatto che i dazi aggiuntivi del 39% annunciati da Donald Trump avranno sulle imprese esportatrici, soprattutto della Svizzera occidentale. Si tratta di una situazione eccezionale, ha dichiarato Keller-Sutter, che colpisce “frontalmente” le aziende.
Le contromisure e l’attendismo rossocrociato
La conferenza stampa con i due esponenti di Governo prova a riportare la barra dritta dopo una serie di dichiarazioni del mondo economico e produttivo confederato, agitato, per usare un eufemismo. Da oggi, va ricordato, circa il 60 percento di tutte le esportazioni svizzere verso gli USA è soggetto a dazi doganali supplementari del 39 percento.
Dazi doganali supplementari notevolmente più elevati rispetto ad altri partner economici degli USA strutturalmente comparabili (UE: 15%, Regno Unito: 10%, Giappone: 15%), come ricordano da Berna. Al momento non sono previste contromisure tariffarie in risposta all’aumento dei dazi statunitensi perché queste, secondo i ministri e la diplomazia svizzera, comporterebbero costi aggiuntivi per l’economia, in particolare a causa dell’aumento dei prezzi delle importazioni dagli Stati Uniti.
L’impegno, intanto, è quello di diversificare il più possibile le relazioni commerciali con il maggior numero possibile di partner internazionali, ma la “dipendenza” commerciale dagli USA è radicata in una miriade di imprese, anche perché – se questi dazi aggiuntivi dovessero rimanere in vigore per un periodo prolungato – è probabile che l’economia si sviluppi in modo meno favorevole rispetto alle previsioni di giugno. Singoli settori e aziende saranno significativamente più colpiti di altri. I settori più esposti sono le macchine, l’orologeria e l’alimentare.
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Indennità di lavoro ridotto, una prima misura
Le aziende, secondo quanto comunicato a Berna, possono contare sull’indennità di lavoro ridotto INC (strumento utilizzato anche durante la pandemia), anche se sono direttamente o indirettamente interessate dalle nuove tariffe, dai dazi. Il Consiglio federale ha incaricato il Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR), tramite la Segreteria di Stato dell’economia (SECO), di esaminare misure rapidamente attuabili nel settore dell’INC, come ad esempio semplificazioni amministrative per le aziende in materia di elaborazione e pagamento.
Inoltre, le commissioni competenti di entrambe le Camere hanno approvato un’iniziativa parlamentare volta a prolungare il periodo massimo per la concessione dell’INC dagli attuali 18 a 24 mesi. In questo modo si intende dare alle aziende più tempo per adattarsi alla nuova situazione di mercato, sostenendo con misure economiche la “parziale disoccupazione”.
Le reazioni interne a un interlocutore imprevedibile
Una delle incognite per le diplomazie internazionali che si siedono a “trattare” le tasse con la Casa Bianca è la velocità con cui il presidente Trump cambia idee e rotte rispetto alle proprie decisioni. Questo è uno dei motivi per cui alcune aziende elvetiche, con una forte bilancia commerciale esposta verso gli USA, attendono prima di prendere decisioni importanti. Altre multinazionali non fanno il passo di trasferirsi dove il tributo è minore, per esempio in Italia, perché perderebbero quello che semplicemente è il “made in Swiss”.
Arrivano intanto le prime prese di posizione interne dopo la conferenza stampa di Berna da parte dei partiti di maggioranza relativa in Governo e nel Paese. L’UDC svizzera ritiene che il Consiglio federale «ha trascurato in modo imperdonabile le relazioni con gli Stati Uniti, come dimostra l’applicazione dell’aliquota doganale massima al 39%. Per evitare danni alla nostra economia e preservare il nostro benessere – dicono -, è necessario abolire immediatamente le regolamentazioni e concludere ulteriori accordi di libero scambio. La Svizzera non deve in nessun caso legarsi all’UE ricattatoria, che sta regolamentando la propria economia fino alla rovina».
«Il nostro Paese si trova in una situazione grave», constata il Partito Liberale Radicale (PLR). Tuttavia, secondo il partito, non c’è motivo di farsi prendere dal panico. La Svizzera deve ora concentrarsi sui propri punti di forza e rinunciare agli esperimenti politici. La Svizzera può contare su basi solide, sottolinea il PLR: un’economia resiliente, un sistema politico affidabile e prevedibile, nonché innumerevoli cittadini e cittadine impegnati e ben formati.
«I politici devono ora agire con cautela, mettere da parte le dispute partitiche e trovare insieme delle soluzioni. È fondamentale definire priorità chiare per proteggere i posti di lavoro, le PMI e le grandi imprese, nonché la prosperità del nostro Paese». Quanto sta accadendo ha il potere di colpire non solo una nazione come la Svizzera, ma un’intera macroarea tra le più produttive d’Europa.
Ad ogni modo, la Svizzera intende proseguire il dialogo con Washington, senza peraltro ricorrere a ritorsioni come l’annullamento del contratto di acquisto per i caccia F-35. La missione di ieri nella capitale degli Stati Uniti ha almeno permesso di presentare all’amministrazione americana una nuova offerta, di cui la controparte ha preso atto. «Si tratta di uno sviluppo positivo», secondo la ministra. «La decisione finale – ha concluso laconicamente Keller-Sutter – spetta al presidente statunitense».
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