Ars boccia norma sull’editoria, era un boomerang per i giornalisti


Norma sull’editoria scritta male e con regole poco chiare, soprattutto sui giornalisti dipendenti. Per Figuccia (Lega): “Occasione mancata”

Erano quattro i milioni di euro destinati al settore dell’editoria in Sicilia: una misura rivolta a giornali cartacei, televisioni, radio, testate online, agenzie di stampa e anche imprese attive nella produzione libraria.

I primi due articoli della norma – oggi bocciata dall’Assemblea Regionale – indicavano con precisione i soggetti beneficiari del contributo a fondo perduto:

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Art. 1: È istituita una sezione specializzata all’interno del Fondo Sicilia, destinata alle imprese editoriali cartacee e digitali, emittenti televisive (anche comunitarie), e agenzie di stampa che producano un notiziario regionale sulla Sicilia da almeno tre anni, con almeno due giornalisti contrattualizzati e testata registrata presso il tribunale competente.

Art. 2: Le disposizioni si estendono anche alle imprese editoriali con almeno tre anni di attività nella produzione libraria sulla cultura siciliana, che abbiano pubblicato almeno dieci titoli con ISBN nel biennio e impieghino almeno un dipendente attivo in Sicilia.

A commentare la bocciatura è il deputato della Lega Vincenzo Figuccia, che parla di “occasione mancata”:

“La contrapposizione ideologica e lo sterile ostruzionismo hanno affossato una misura condivisa anche con il Sindacato della stampa parlamentare, che avrebbe dato ossigeno alle aziende editoriali e tutelato i giornalisti. Mi auguro che nella prossima manovra si possa rimediare al danno fatto.”

Ma i giornalisti avrebbero davvero beneficiato di questa norma?

La mia risposta è no. Io come editore di Free Press Online, e da dentro questo settore vedo le falle di una misura scritta male e con criteri poco chiari, soprattutto per quanto riguarda i giornalisti assunti in redazione.

Intanto passa il messaggio che il mondo dell’informazione possa essere sostenuto con soli 3 milioni di euro. Ma è un’illusione: il comparto dell’editoria, tra costi strutturali, tecnologie e risorse umane, si muove su cifre almeno venti volte superiori.

Inoltre, la norma non specifica se i giornalisti assunti debbano essere a tempo pieno (36 ore settimanali) o part-time. Questo lascia spazio a interpretazioni pericolose: un editore potrebbe assumere due part-time da 18 ore, oppure tre da 12, risultare formalmente in regola per ottenere i contributi e nel frattempo interrompere rapporti di lavoro con 5 o 7 collaboratori con partita IVA.

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

Con una spesa netta annuale di circa 40 mila euro, si potrebbe accedere al bando. Ma c’è un dettaglio fondamentale: eventuali ulteriori assunzioni non sarebbero coperte dai contributi. Quindi, passare da uno a 2 o addirittura tre giornalisti part time  in redazione comporterebbe per l’azienda una perdita certa per l’editore, di almeno 10 mila euro l’anno al netto dei contributi ricevuti per giornalista.

Il mercato è in grave difficoltà. E i dati provvisori sui recenti contributi regionali mostrano che anche i grandi editori hanno ricevuto somme relativamente esigue rispetto ai loro costi di gestione. Pensare quindi di aumentare l’organico redazionale basandosi su questo tipo di incentivo è, a mio avviso, poco realistico se non del tutto utopico.

Il rischio? È quello che alcuni editori scelgano di avere meno collaboratori, nelle redazioni  più part-time, e una redazione composta da giornalisti sottopagati e demotivati. Tutto ciò a discapito di chi vuole fare editoria in modo etico.

Cosa serve davvero?

Serve una visione più ampia e coraggiosa. Prima di tutto, è necessario introdurre un incentivo strutturale sulla detassazione della pubblicità conto terzi: una misura che potrebbe davvero rilanciare il settore, offrendo nuova linfa all’informazione rendendo meno conveniente il ricorso al “fai da te”.

A questo si deve affiancare una defiscalizzazione a livello nazionale e un sostegno stabile sui contributi per i lavoratori dipendenti. Solo così le aziende editoriali, e non solo quelle, potranno programmare il futuro con maggiore serenità e investire in occupazione.

Il Governo Meloni ha già intrapreso questa direzione, ottenendo alcuni risultati positivi. Ora, però, è il momento di dare continuità e forza a queste politiche, per garantire davvero ossigeno al settore e creare condizioni favorevoli per nuove assunzioni, stabili e dignitose.

Il desk non basta: torniamo alla cronaca vera

E poi c’è la questione dell’intelligenza artificiale, che molti dipingono come una minaccia per il giornalismo. Nessuna paura.
Il vero giornalismo non nasce dietro uno schermo, ma in strada, tra la gente. È lì che il giornalista deve tornare: a raccontare, a osservare, a documentare ciò che accade. Il desk, da solo, non basta. Le notizie originali, approfondite, verificate, sono quelle che fanno la differenza. Sono quelle che danno valore anche a una piccola redazione, portando credibilità e visualizzazioni.

L’intelligenza artificiale è uno strumento, non un sostituto. Può aiutare, supportare, velocizzare. Ma non ha nulla a che vedere con la crisi occupazionale: i posti si perdono quando si smette di investire sulla qualità e sulla professionalità. E su questo, le responsabilità sono tutte umane. Anche del Governo che deve supportarle.

Microcredito

per le aziende

 



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