Il nuovo bilancio europeo è più ricco ma non per le risorse destinate al settore rurale. Il taglio del 24% sta già sollevando dubbi e preoccupazioni
Un fantasma verde si aggira per l’Europa. E non è il green della transizione energetica, già assai annacquato da ritardi e ripensamenti, bensì quello dell’agricoltura. Noi tendiamo sempre a sottovalutare il peso specifico del settore primario. Un riflesso condizionato. La nostra attenzione è rivolta, anche giustamente se vogliamo, all’industria che rischia il declino. Il focus è sulla competitività che langue per difetto di innovazione e di ricerca. Non sulle produzioni agricole, per quanto siano centrali, indispensabili, e anche terreno di avanzati esperimenti delle più raffinate tecnologie. Ci pensiamo sempre dopo, come ricaduta di altre scelte ritenute politicamente ed economicamente prioritarie (e in diversi casi lo sono).
Un errore ricorrente che in questa fase storica rischia addirittura di essere fatale per l’Unione europea, al punto di indebolirla nel perseguire altri e vitali obiettivi sull’innovazione, la transizione e il riarmo. Persino di metterne in pericolo l’esistenza. Esageriamo? No.
Equilibrismo fiscale
Lo schema di bilancio europeo per il periodo 2028-2034 prevede un aumento delle risorse proprie dell’Unione europea. Indispensabile.
Ma ci chiediamo subito come verrà realizzato vista la complessità politica di mettere nuove tasse sui consumi. O addizionali ai profitti dei grandi gruppi dopo il fallimento della Global minimum tax. Una reazione diffusa è già la seguente: «Avete esentato le big tech americane e poi venite a chiedere altri soldi alle aziende europee?». L’obiettivo della Commissione, presieduta da Ursula von der Leyen, è quello di avere a disposizione, per il budget settennale, circa 2 mila miliardi contro gli attuali 1200.
La percentuale rispetto al prodotto interno lordo dell’Unione cresce all’1,26% ma si contrae nella realtà all’1,13% con i rimborsi legati alle scadenze del debito comune contratto con il Next Generation Eu. Come nota Filippo Santelli su La Repubblica, siamo molto lontani dal volume di investimenti ipotizzato dal rapporto Draghi riposto anzitempo nei cassetti di Bruxelles (insieme a quello di Letta). Un’altra musica. Certo, ci sono le risorse private da mobilitare. C’è il ricorso al debito comune che però, inevitabilmente, sarebbe condizionato dalle dimensioni del bilancio comunitario.
Addio alla centralità
Fino ad oggi circa i due terzi del bilancio comunitario erano riservati all’agricoltura e alle politiche di coesione. L’attenzione al mondo agricolo era ed è finalizzata al sostegno dei redditi di chi coltiva e, soprattutto, alla qualità delle produzioni. Oltre che alla sicurezza alimentare che oggi intendiamo come la disponibilità di cibi sani. Agli albori delle prime comunità europee, negli Anni Cinquanta, si trattava molto semplicemente di garantire la nutrizione dei cittadini europei. Mettendo insieme il carbone e l’acciaio li si preservava da nuove guerre, ma occorreva sfamarli. Cioè mettere insieme il pranzo con la cena. In alcuni Paesi il razionamento andò avanti molto dopo la fine della guerra. Una memoria che abbiamo perso.
Frattura istituzionale
Il nuovo schema di bilancio che ha già creato una grave frattura istituzionale tra Parlamento europeo e Commissione, riduce la parte riservata all’agricoltura (da 380 a 300 miliardi), ma soprattutto la accorpa ad altri interventi di natura sociale (nel capitolo «Persone, Paesi e Regioni») nazionalizzando di fatto le decisioni di spesa che potranno ovviamente essere aumentate, e non solo diversamente gestite a livello nazionale. All’Italia andrebbero 86,6 miliardi, quarto Paese per rilevanza delle quote. Ma non è solo una questione di risorse che per l’agricoltura europea risultano comunque tagliate del 24%. È una questione politica e identitaria. «Quella a cui stiamo assistendo — spiega Paolo De Castro, docente di Economia e Politica agraria all’Università di Bologna — è l’eutanasia, non so fino a che punto voluta, della politica agricola comune. L’opposizione del Parlamento europeo al fondo unico è stata ignorata. Se non sosteniamo lo sviluppo rurale penalizziamo l’industria agroalimentare, pilastro dell’economia europea, peraltro indebolita dai dazi. Si dice ai Paesi membri: fate da soli, scegliete voi. Saranno contenti i nordici. Assisteremo al ritorno in piazza dei trattori. Ma quello che dovrebbe preoccupare di più la maggioranza che sostiene Ursula von der Leyen, e soprattutto popolari e socialisti, è che così si dà una mano a tutti i sovranismi e i nazionalismi europei che soffieranno sul fuoco della protesta degli agricoltori, indebolendo l’Unione su tutti gli altri fondamentali dossier».
Malumori e proteste
La reazione delle organizzazioni degli agricoltori è unanime soprattutto in Francia e in Spagna. Forti le preoccupazioni anche in Germania. «Paghiamo noi il riarmo europeo» è la frase che riassume il sentimento generale. C’è un altro aspetto che suscita apprensione. Il sostegno all’Ucraina ha fatto sì che si abbattessero i prezzi di alcuni beni agricoli importati da quel Paese invaso dai russi. Una scelta umanitaria ma, alla fine, anche una concorrenza sleale. «Paghiamo più di altri settori la solidarietà europeo verso Kyiv».
Il rischio politico
Sul fronte italiano si realizza una non comune convergenza tra partiti e sigle dell’universo agricolo. «Un disastro annunciato — è l’opinione del segretario generale della Coldiretti, Vincenzo Gesmundo — togliamo soldi alle imprese agricole e al cibo sano per finanziare i carri armati. Se saranno i governi a dover ripartire le risorse e a dover scegliere tra l’agricoltura e altri interventi sociali, sulla cui rilevanza non discutiamo, noi ne saremo certamente danneggiati. Siamo contro questa deriva autoritaria di Bruxelles che ostracizza tutti i corpi intermedi. Le conseguenze rischiano di essere severe, anche sul piano politico».
L’analisi del presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti è ugualmente allarmata. «Non è a rischio solo il finanziamento delle politiche agricole, la salvaguardia delle comunità rurali, lo stesso concetto di sicurezza alimentare. Stupisce che l’Unione europea non capisca, nel nuovo quadro delle relazioni e delle contrapposizioni geopolitiche, l’importanza anche strategica dell’agricoltura. L’Ucraina è una grande potenza agricola. La Russia ancora di più. La guerra ibrida si fa anche così. Le grandi produzioni agricole sono anche un fattore strategico. Gli Stati Uniti con la soia e il grano; il Brasile con le proteine animali. Perché l’Unione europea non ha questo tipo di sensibilità?».
Il mondo agricolo, non solo italiano, si oppone a grandi accordi di interscambio dell’Unione europea che, dopo la ventata di dazi americani, sarà sempre più necessario intavolare, come per esempio la ratifica del Mercosur (America Latina). La sottovalutazione del malessere degli agricoltori, soprattutto francesi ed italiani, nei confronti della nuova politica di bilancio rischia invece di alimentare stagioni di grandi proteste dagli esiti politici incerti se non nefasti.
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