ROMA\ aise\ – Nel 2023, le imprese esportatrici attive in Italia sono 120.170, in leggero calo rispetto al 2022 (120.876). Il calo riguarda in particolare la classe dimensionale con 0-9 addetti (da 67.619 a 66.366); diminuisce, in misura modesta, anche la classe con 10-19 addetti (da 22.278 a 22.182), mentre si rilevano aumenti per le altre classi dimensionali superiori. È quanto emerge dall’Annuario statistico Istat-ICE 2025 “Commercio estero e attività internazionali delle imprese” presentato a Roma nelle scorse settimane.
Nel focus dedicato alle imprese esportatrici, il Report registra che nel 2023 le vendite all’estero mostrano andamenti differenziati per le diverse classi dimensionali di imprese: si riducono le esportazioni delle imprese con 250-499 addetti (-5,6% rispetto al 2022), 20-49 addetti (-3,8%), 50-99 addetti (-3,1%) e 100-249 addetti (-0,4%); per contro, aumentano quelle delle imprese con 500 addetti e oltre (+2,9%), 0-9 addetti (+2,4%) e 10-19 addetti (+1,1%).
In termini settoriali, il 49,9% delle imprese esportatrici attive nel 2023 è costituito da imprese manifatturiere (con un peso del 78,0% sul valore complessivo delle esportazioni delle imprese industriali e dei servizi). Seguono le imprese commerciali, che rappresentano il 37,3% del totale, e quelle attive in altri settori, pari al 12,9%.
Si conferma la relazione positiva tra contributo alle esportazioni nazionali e dimensione di impresa, espressa in termini di addetti: nel 2023, le grandi imprese esportatrici (2.231 unità con almeno 250 addetti) hanno realizzato il 51,6% delle esportazioni italiane (in aumento rispetto al 51,2% del 2022); le medie imprese (50-249 addetti) il 29,5% (29,8% nel 2022) e le piccole (meno di 50 addetti) il 18,9% (19,0% nel 2022).
Considerando classi di addetti più dettagliate, rispetto al 2022 aumenta l’incidenza sul totale dell’export delle imprese con 500 addetti e oltre (da 36,0% a 37,2%) mentre si registrano riduzioni per le imprese con 250-499 addetti (da 15,2% a 14,4%), 20-49 addetti (da 10,3% a 9,9%) e 50-99 addetti (da 12,0% a 11,7%). Per tutte le altre classi, le incidenze sono pressoché invariate.
Nella manifattura, dove sono attive 59.905 imprese esportatrici, il 42,8% delle aziende esporta meno del 10% del fatturato mentre solo il 10,6% destina ai mercati esteri una quota pari o superiore ai tre quarti delle vendite.
L’incidenza delle imprese marginalmente esportatrici si riduce notevolmente al crescere della dimensione dell’impresa, rimanendo comunque rilevante sia per le medie (20,7% delle imprese tra 50 e 249 addetti) sia per le grandi (12,5% di quelle con 250 addetti e oltre). Una quota significativa di imprese con una propensione elevata sui mercati esteri (pari o oltre il 50% ma inferiore al 75%) appartiene al segmento delle grandi imprese (32,1%).
Sempre con riguardo alla manifattura, le imprese esportatrici presentano una propensione media all’export che aumenta al crescere della dimensione aziendale. Tuttavia la propensione risulta già elevata fra le micro-imprese (27,4%) e superiore al 39% fra le medie e le grandi. Per le imprese esportatrici i differenziali sono sensibilmente positivi rispetto alle unità non esportatrici in termini di costo unitario del lavoro e ancor più di produttività apparente del lavoro (valore aggiunto per addetto). Questi risultati sono solo in parte riconducibili alle differenze dimensionali tra queste due sotto-popolazioni di imprese.
L’analisi per tipologia di governance delle imprese esportatrici manifatturiere conferma il ruolo rilevante nell’export italiano di quelle appartenenti a gruppi multinazionali.
Nel 2023, le imprese appartenenti a gruppi multinazionali (il 15,1% delle imprese esportatrici manifatturiere) spiegano oltre i tre quarti dell’export della manifattura (76,7%): in particolare, le imprese appartenenti a multinazionali a controllo italiano detengono il peso più rilevante (45,3%), mentre quelle a controllo estero ne generano circa un terzo (31,4%). Le imprese italiane indipendenti non appartenenti a gruppi, che rappresentano il segmento più ampio delle imprese manifatturiere esportatrici (67,0%), realizzano soltanto l’11,8% dell’export del comparto; analoga quota delle esportazioni (11,5%) è generata dai gruppi domestici italiani (il 17,9% delle imprese esportatrici nella manifattura).
IMPRESE ESPORTATRICI PER GENERE
Nel 2023, sul totale delle 120.170 imprese esportatrici attive, solo il 17,3% è a conduzione femminile. L’imprenditoria maschile domina coprendo quasi i quattro quinti con il 79,7% delle imprese. Resta un 3,0% di imprese non classificabili. La quota di export sul totale generato dalle imprese femminili è pari al 6,7%, poco più di 38 miliardi di euro, a fronte degli oltre 514 miliardi delle imprese maschili (90,8%).
Le imprese esportatrici a guida femminile sono generalmente più piccole di quelle a conduzione maschile: solo il 5,6% ha almeno 50 addetti (12,7% quelle maschili). L’analisi mostra una relazione negativa tra presenza di imprese femminili (e loro contributo all’export) e dimensione d’impresa. Nel 2023, tra le micro imprese (0-9 addetti), il 20,7% è a guida femminile e attiva il 16,4% dell’export di tale classe dimensionale (Figura 8). L’incidenza delle aziende a guida femminile si riduce al 5,7% tra le imprese con 250-499 addetti e al 3,6% tra quelle con almeno 500 addetti e le relative quote di export scendono, rispettivamente, al 6,4% e al 3,2%.
Le imprese esportatrici femminili prevalgono tra quelle di età d’impresa più bassa. Tra le ‘giovani’ con non più di cinque anni di vita, il 23,0% è a guida femminile e genera il 12,5% dell’esportazioni delle imprese di tale classe di età. All’aumentare dell’età dell’impresa, l’incidenza di quelle femminili si riduce. Le imprese maschili prevalgono tra quelle di età più elevata, con 21 anni e più (82,3%) e realizzano il 91,6% dell’export delle imprese di tale classe di età.
In termini settoriali, le imprese esportatrici a conduzione femminile sono maggiormente presenti nel commercio (19,1%) e generano il 10,0% dell’export del comparto: la presenza massima (24,6%) riguarda il settore del commercio al dettaglio, dove le imprese femminili, tuttavia, realizzano soltanto l’8,6% dell’export di settore.
Nella manifattura, la presenza di imprese femminili scende al 15,9%, per una quota di export sul totale del comparto decisamente contenuta, pari al 6,0%. I settori manifatturieri con una presenza più elevata di imprese a guida femminile sono confezione di articoli di abbigliamento e confezione di articoli in pelle e pelliccia (32,7%), fabbricazione di articoli in pelle e simili (22,2%), industrie tessili (19,1%) e industrie alimentari, delle bevande e del tabacco (17,2%); al contrario, quelli con una presenza minore, sono industria del legno e dei prodotti in legno e sughero (esclusi i mobili); fabbricazione di articoli in paglia e materiali da intreccio e fabbricazione di coke e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio (per entrambi 10,5%). In termini di quote di export settoriale, le imprese femminili realizzano quelle più elevate nei settori industria del legno e dei prodotti in legno e sughero, mobili esclusi, fabbricazione di articoli in paglia e materiali da intreccio (12,5% dell’export settoriale), fabbricazione di articoli in pelle e simili (12,4%) e metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo, esclusi macchinari e attrezzature (10,2%).
Nei rimanenti settori, la presenza di imprese femminili si attesta al 17,1% con un peso dell’export pari al 5,6%. (aise)
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