l’editoriale del direttore Roberto Napoletano


L’unica cosa probabile di questa guerra commerciale con il resto del mondo di Donald Trump è che chi pagherà un prezzo molto alto saranno le famiglie americane alle quali costerà di più qualunque cosa importata vogliano comprare. Così come accade per molti degli operatori economici: l’ultimo esempio è la protesta dei ristoratori americani che chiedono di non mettere i dazi sui prodotti agro-alimentari.

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Il commercio globale è stravolto dalle tariffe poste dagli Stati Uniti su 68 Paesi e l’Europa negozia le esenzioni, l’accordo al 15% consegna il vantaggio di ridurre l’incertezza vista l’imprevedibilità assoluta dell’interlocutore e lo svantaggio di perdere un po’ di crescita anche se le stime circolate, a onor del vero, sono scritte sulla sabbia. Perché dipendono da quello che siamo capaci di fare noi e dalle condizioni in cui opereranno gli altri.

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Il capitale della fiducia per i giovani di un’Italia tornata credibile: l’editoriale del direttore Roberto Napoletano

Se si vuole iniettare sfiducia all’ingrosso e produrre danni reali immediati alla nostra economia lo si può certo fare, ma sarebbe viceversa molto più opportuno concentrarsi su quello che si può fare subito per contrastare questo rischio aggiuntivo e su quello che si può mettere in atto già oggi in una prospettiva di medio termine. C’è prima di tutto la filiera virtuosa della multinazionale italiana che più di tutti investe all’estero, l’Enel, che rappresenta un’opportunità unica di crescita per le nostre medie imprese sui mercati in espansione del Mercosur. Sotto la guida di Flavio Cattaneo, fa più utili e li fa all’estero, ma questo permette di ridurre i costi interni per l’economia italiana. Con circa 110 miliardi di capitale investito, siamo davanti a un pivot multinazionale che può aprire a una filiera specializzata di medie imprese italiane le porte di mercati esteri come è, ad esempio, quello del Brasile che cresce, fa figli, ha un prodotto interno lordo nettamente superiore ai 2 mila miliardi di dollari di cui lo Stato di San Paolo ne realizza un terzo.

Per capirci, la Lombardia fa un quinto del Pil italiano, che è di poco superiore a quello brasiliano, e lo Stato di San Paolo dove l’Enel è il secondo investitore nazionale ne fa molto di più nel suo Paese. Questa filiera dell’energia del futuro che sostiene manifattura e distribuzione di qualità vede l’italiana Enel guidare la crescita dei Paesi del Mercosur, acronimo dello spagnolo Mercado Común del Sur, con una presenza forte anche in Colombia e in Cile. Questo mercato del mondo in espansione, lo ha sottolineato anche Confindustria, ha fame di Made in Italy che invece di concentrarsi su battaglie di retroguardia in casa, farebbe piuttosto bene a coagularsi intorno a una delle poche multinazionali del Paese sopravvissute in grado di dire la sua subito in mercati che sono in crescita oggi, non forse domani.

L’opportunità Napoli nel nuovo mondo: l’editoriale del direttore Roberto Napoletano

Questo significa fare politica industriale con i fatti non a parole, conquistare nuove quote di mercato commerciale globale invece di piangersi addosso per la riduzione di quelle tradizionali già in perdita e destinate a crescere nella perdita. Con gli acquisti in Spagna, in Grecia, in Australia e così via è sempre la stessa Enel che può portare dal mondo valore e occupazione in casa nostra se le medie imprese italiane decidono di rimettersi in gioco e scommettere sul pivot internazionale per viverne di indotto di qualità ma anche per costruire in proprio lì nuove opportunità di crescita. Bisogna stare molto attenti a ridurne, con polemiche interne di bassa lega, la forza trainante così come bisogna fare altrettanto con l’altro grande pivot energetico, che è l’Eni, fondamentale per i mercati del futuro nel medio-lungo termine che sono quelli dell’Africa e del Mediterraneo allargato.

Come ha acutamente sottolineato da par suo proprio ieri, dalle colone di questo giornale, Giuliano Noci, siamo in modo miope concentrati su quasi 300 miliardi di commercio globale generati in Paesi che, messi insieme, non raggiungono i 400 milioni di abitanti mentre non riflettiamo abbastanza sulla criticità dei soli 33 miliardi di esportazioni che facciamo in Paesi con oltre 3 miliardi di persone. La morale è semplice: l’errore più grande che potremmo commettere è quello di continuare a sbattere la testa contro i mercati saturi, indebolire i pochissimi pivot di peso internazionale che riguardano anche i big dell’economia del mare, della difesa, della cantieristica e altro ancora, e rinunciare a concentrare unitariamente le nostre forze sul vero potenziale di crescita globale che ha appetiti crescenti e guarda a noi con simpatia a differenza dei francesi che hanno sprecato il loro capitale reputazionale con un approccio di prepotenza che li rende invisi.

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L’editoriale del direttore Roberto Napoletano: c’è da fare ma ora sappiamo che possiamo farcela

Dobbiamo imparare a parlare con il Brasile, in genere con i Paesi del Mecosur, e in prospettiva con tutti quelli del nuovo mondo, a partire dai mercati già più ricchi, ma possiamo farlo se ci lasciamo guidare in tutti i campi dai nostri pochissimi player internazionali già massicciamente presenti e rispettati. Possiamo farlo se le medie imprese da sole e il Paese nel suo complesso sapranno fare gioco di squadra usando le carte delle nuove tecnologie e se diventeremo campioni mondiali oltre che del “fatto bene” anche delle piattaforme e degli algoritmi. Perché in un mondo sempre più frammentato e diviso, indebolito dalle guerre grandi e piccole e dal ciclone Trump, il nuovo valore non sta solo nel prodotto ma nel dato che lo racconta. La strada tracciata della diplomazia commerciale a tutto campo, al G7 di Borgo Egnazia, dalla premier Giorgia Meloni, come lo stesso Piano Mattei che non esprime solo una definizione geografica ma un approccio culturale non predatorio applicabile ovunque, fanno parte di quelle intuizioni della grande politica che passano attraverso un’Europa che diventi finalmente soggetto forte. Questo è il punto strategico del momento tanto difficile quanto dirimente.





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