Dove dovrebbero nascere opportunità, affondano le radici del malaffare. I fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pilastro economico della rinascita italiana post-pandemica, si confermano terreno fertile non solo per lo sviluppo, ma anche per sofisticati meccanismi di frode. A Treviso, la Guardia di Finanza ha eseguito un sequestro preventivo per quasi mezzo milione di euro nell’ambito di un’indagine che coinvolge sei persone, tra cui Flavio Zanarella, imprenditore padovano e volto già noto alla cronaca giudiziaria.
L’inchiesta
L’inchiesta, coordinata dalla Procura Europea (EPPO) di Venezia, punta il faro su una rete di società che avrebbero illecitamente ottenuto fondi destinati alla digitalizzazione delle imprese, grazie a una serie di dichiarazioni false e strutture aziendali fittizie. Le somme sottratte, anziché alimentare la crescita del tessuto produttivo nazionale, sarebbero state dirottate per usi personali o per coprire debiti pregressi, in un sistema che mescola truffa, malversazione e autoriciclaggio.
Il sequestro
Nel dettaglio, il sequestro ha riguardato 486mila euro ottenuti in modo fraudolento attraverso fondi Pnrr gestiti da Simest, la società controllata da Cassa Depositi e Prestiti che sostiene le imprese italiane nella loro crescita e internazionalizzazione. Di questa somma, ben 183mila euro sarebbero già stati oggetto di autoriciclaggio. I provvedimenti sono stati eseguiti nei giorni scorsi nelle province di Treviso, Venezia, Padova, Brescia, Barletta-Andria-Trani e Bari.
Le sedi operative inesistenti
Zanarella, che si presentava come “business angel” e promotore d’impresa, risulta essere coinvolto anche in un altro filone d’inchiesta della Procura di Treviso, che ha già portato al suo arresto domiciliare per ipotesi di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta e truffe su fondi pubblici nazionali per circa 1,7 milioni di euro. Lo schema messo in atto per accedere ai fondi Pnrr sembra ricalcare lo stesso già adottato per ottenere illecitamente risorse Simest: progetti fittizi, società formalmente solide ma in realtà in liquidazione, e sedi operative inesistenti nel Sud Italia. Le indagini hanno infatti rivelato che quattro società riconducibili agli indagati avevano falsamente attestato l’esistenza di sedi operative nel Mezzogiorno, mai attivate, e di una solidità economica completamente inventata. I progetti dichiarati nei bandi non sono mai stati nemmeno avviati. Obiettivo unico: accedere alle risorse comunitarie destinate a sostenere la competitività e la transizione digitale delle piccole e medie imprese.
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