E’ l’italiano Roberto Canevari il capo globale della value chain del colosso Usa del beauty: «Andiamo verso un modello molto agile. Più lanci prodotti, meno scorte. E l’Europa è centrale»
«Ora fai parte della famiglia. Al secondo incontro a pranzo a casa Lauder, Leonard , figlio della fondatrice Estée, mi ha salutato così e ho capito quanto la famiglia e i suoi valori siano al centro della storia dell’azienda. E quanto siano la forza per guardare al futuro che parlerà anche per la cosmetica la lingua dell’AI», dice a L’Economia Roberto Canevari. Per lui è stata creata la posizione di executive vice president, chief value chain officer dell’impero fondato da Josephine Esther Mentzer, cresciuta nel Queens a New York che, complice uno zio chimico, scoprì i segreti delle creme di bellezza.
Una passione diventata business con le nozze nel 1930 con Joseph Lauter (nome cambiato in Lauder per il brand). The Estée Lauder Companies ancora una volta si affida a un italiano? «Fabrizio Freda (per 15 anni ceo, ndr) è stato un modello di leadership per il gruppo. Ora la responsabilità è nelle mani di Stéphane de la Faverie che conosco bene e che ha una visione molto chiara per il futuro. L’ha chiamata Beauty reimagined, e l’idea è rendere l’industria della bellezza più consumer centric».
Obiettivo: rilanciare i conti di un big da 15,6 miliardi di dollari di vendite, rallentato dal freno del business travel retail e dell’Asia. Come? «Rendendo il modello di business più agile. Quanto alla mia idea della supply chain si può sintetizzare in tre punti: sicurezza, sostenibilità e rispetto per le persone. Abbiamo ridotto le scorte, liberando capitale circolante. E la conferma che è la strategia giusta l’han data quegli oltre 300 punti di miglioramento del margine lordo del terzo quadrimestre grazie al piano interno di Profit recovery and growth, che ha ottimizzato costi e gestione scorte». Come si articola oggi il gruppo? «Un network di 9 siti ci permette di presidiare Nord America, Europa e Asia. E la filosofia è accorciare la supply chain per diventare più veloci, reattivi al mercato. Ci prepariamo così a lanciare presto il 30% dei nostri prodotti in meno di 12 mesi». E quanto conta l’Europa? «È strategica. Con tre grandi poli produttivi: in Belgio che è anche hub distributivo oltreché sito di bio tecnologie. Poi in Regno Unito e Svizzera. La nostra presenza e produzione in Europa risale al 1965 e il Belgio è cruciale: il 60% di tutti i nostri prodotti passa per il sito di Oevel che impiega oltre 1.300 persone. In Svizzera sono oltre 1.500 dipendenti, mentre l’Italia conta 44 negozi indipendenti e 2.990 punti vendita totali per 619 dipendenti».
Lauder ha firmato anche un nuovo accordo con la lombarda Intercos. «È uno storico fornitore di polveri per make-up, e sarà Intercos America Inc. a produrre per noi la maggior parte delle polveri che produciamo ora internamente. La conferma che il rapporto di Estée Lauder con l’Italia, dove siamo sin dagli anni Sessanta, è forte: dai rapporti con altri fornitori del packaging agli ingredienti per le nostre formulazioni. L’azienda è americana ma il respiro è globale: 62 mila dipendenti, l’80% donne. Presente in oltre 150 Paesi con la forza di oltre 20 brand da Estée Lauder a Jo Malone, Aramis, Clinique, Bobbi Brown o Balmain Beauty».
Il gruppo ha appena messo sul piatto 860 milioni di dollari per il 24% della canadese Deciem, cui fanno capo marchi dal 2017 nella galassia Lauder come The Ordinary e Nio (dal 2021 Lauder era salita al 76%). «Abbiamo sempre creduto in tanti brand. E con l’Ai daremo risposte più precise, complete e veloci. L’intelligenza artificiale in fabbrica può venire in aiuto con gli agenti conversazionali che permettono di identificare i parametri ottimali per le nostre macchine. In questo modo si riesce per esempio a prevedere la domanda, e in definitiva si riesce a razionalizzare lo stock con più efficienza».
Con chi lavorate al piano sull’Intelligenza artificiale applicata al beauty? «Con Microsoft abbiamo creato l’AI Innovation Lab, evoluzione del nostro rapporto di collaborazione iniziato sin dal 2017 e che ha portato per esempio al varo del Voice-Enabled Makeup Assistant un’app che aiuta nell’applicazione del make up. Poi collaboriamo sull’intelligenza artificiale anche con 0100: un’organizzazione di ricerca per accelerare l’evoluzione verso una digital supply chain transformation. Siamo nel board tra i fondatori. E 0100 vuol dire zero percent carbon, 100% digital supply chain».
Leonard Lauder, da poco scomparso a 92 anni. E ora William P. Lauder: com’è lavorare col nipote di Estée? «Leonard Lauder dava questo consiglio per le visite nei siti produttivi: devi sapere chi sono le persone che ci lavorano, chiamarli per nome. E quando il figlio William viaggiò nei nove campus dopo il Covid, ho visto quel principio messo in azione: su questi legami si basa l’azienda».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link