Stipendi pubblici, il tetto voluto da Renzi è illegittimo: cambia la regola


Il tetto retributivo lordo di 240mila euro per i pubblici dipendenti è illegittimo. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 13, comma 1, del decreto legge n. 66 del 2014 voluta dal governo Renzi. La Corte costituzionale ha precisato che un tetto retributivo non è di per sé incostituzionale, ma il parametro dovrà essere definito con decreto del presidente del Consiglio, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.

Come cambia la norma adesso

Si torna quindi al limite precedente, pari al trattamento economico spettante al Primo Presidente della Corte di Cassazione. Il limite massimo retributivo era stato introdotto con un decreto legge del 2011, ma con il decreto legge del 2014 il tetto è stato invece determinato nel suo ammontare in misura fissa, appunto 240mila euro, con una riduzione significativa del trattamento economico di alcuni magistrati.

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Voluta da Matteo Renzi, La norma era stata ritenuta fin da subito costituzionalmente illegittima, ma era stata considerata una misura straordinaria e temporanea, vista la situazione di crisi finanziaria in cui versava il Paese in quegli anni. Con il trascorrere del tempo, tuttavia, essa ha definitivamente perso quel requisito di temporaneità; la pronuncia di oggi, 28 luglio 2025, oltre a rendere illegittima la norma del 2014, si mette in linea con i principi ai quali si ispirano plurimi ordinamenti costituzionali di altri Stati.

La Consulta ha specificato che la sua decisione non ha effetto retroattivo. Quindi, le norme in vigore fino alla pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale restano valide per il passato, ma non potranno più essere applicate dal giorno successivo.

Ma una nuova legge potrebbe arrivare

Si tratta, quindi, di un ritorno a un sistema più flessibile, che consente adeguamenti nel tempo in funzione dell’evoluzione degli stipendi di riferimento. In pratica, non sarà più possibile applicare indistintamente la stessa soglia massima a tutti i dirigenti pubblici o agli alti profili dell’amministrazione statale, ma si dovrà valutare caso per caso.

La Consulta ha comunque affermato che un tetto retributivo non va contro la Costituzione, ma la decisione dovrà essere presa dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, tramite decreto.

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Cosa cambia per la pubblica amministrazione

La pronuncia della Corte Costituzionale ha un impatto su tutta la pubblica amministrazione, in quanto coinvolge l’intero sistema di retribuzione dei dipendenti pubblici. Con l’illegittimità dell’art.13, ora questi, in particolare i dirigenti, potranno tornare a vedere i propri stipendi agganciati al valore effettivo della retribuzione del Primo Presidente della Corte di Cassazione, che oggi è di circa 313mila euro lordi annui.

Se prima un dirigente percepiva uno stipendio inizialmente allineato a quello del Primo Presidente, con l’introduzione del limite fisso del 2014 si era trovato soggetto a una riduzione automatica. Ora, invece, il dirigente potrà vedere il proprio trattamento retributivo tornare ad adeguarsi, con possibili aumenti in base agli aggiornamenti futuri.

La decisione della Corte non coinvolge quindi solo magistrati o dirigenti ministeriali, ma anche amministratori, funzionari, direttori generali e altri profili che, negli anni scorsi, erano stati coinvolti nel taglio delle retribuzioni in base alla soglia del 2014.  Con la nuova impostazione, si apre la strada a una revisione complessiva dei meccanismi retributivi, volta a valorizzare le competenze e garantire maggiore equità.





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