Ristori alle aziende? I soldi non ci sono (e l’Ue non pagherà)


C’è un numero fissato dalla trattativa, il 15 per cento, la tariffa da applicare alle merci Ue che approdano negli Usa. Ma i dettagli sono ancora da definire. Gli imprenditori chiedono compensazioni al governo, che potrebbe buttare la palla a Bruxelles, invocando improbabili piani d’emergenza che però difficilmente troveranno l’indispensabile via libera

Domenica sera Ursula von der Leyen aveva rivendicato la bontà dell’accordo sui dazi perché «crea certezza in tempi incerti». A due giorni di distanza da quelle dichiarazioni, la realtà dei fatti sembra disegnare uno scenario ben diverso. E qui non c’entra (almeno per ora) la proverbiale volubilità di Trump.

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C’è un numero fissato dalla trattativa, quel 15 per cento che è la tariffa da applicare alle merci Ue che approdano negli Usa. Ma tutto il resto, a cominciare dall’elenco delle categorie produttive colpite dai dazi, rimane sospeso nel limbo delle indiscrezioni. L’intesa politica deve essere tradotta in un trattato giuridicamente vincolante. In altre parole, i dettagli dell’accordo sono ancora da definire.

Un’incertezza a cui si aggrappa un esercito di imprenditori nostrani che spera di limitare i danni grazie a esenzioni e sconti ritagliati su misura per alcune categorie. Si spera, insomma, in un secondo tempo per tentare una rimonta almeno parziale. I produttori di vino, per esempio, contano sull’alleanza con Francia e Irlanda per spuntare una riduzione della tariffa sulle bevande alcoliche.

Gli imprenditori che fabbricano macchine utensili, una delle categorie più colpite, anche perché composta in grandissima parte di aziende piccole e medie, sperano in un’esenzione per i macchinari per la lavorazione dei metalli, di cui c’è grande richiesta negli Usa e che sarebbero difficilmente sostituibili per i clienti americani. Dubbi anche su farmaci e semiconduttori, anche se le indiscrezioni più recenti in arrivo da Washington sembrano includere anche questi prodotti tra quelli tassati al 15 per cento.

Richieste di sussidi

Si vedrà nei prossimi giorni se queste speranze hanno un qualche fondamento. Intanto, dal mondo delle imprese è già partito il coro di chi chiede sussidi per far fronte alle perdite prossime venture.

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Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, chiede «compensazioni per le imprese più colpite». Il problema, per il governo, è dove trovare i soldi, semmai davvero passasse l’idea che debba essere il denaro dei contribuenti a coprire le perdite degli industriali.

I fondi del Pnrr e quelli dei fondi di coesione sono difficili da utilizzare senza un via libera di utilizzare senza il via libera di Bruxelles. E al momento sembra difficile individuare risorse sufficienti in un bilancio pubblico che già deve far i conti con l’emergenza salari, la produzione industriale in stallo e il Pil che cresce poco o nulla.

Più facile, per il governo, buttare la palla in tribuna. Anzi a Bruxelles, invocando improbabili piani d’emergenza che difficilmente troveranno l’indispensabile via libera dei partner europei.

Ancora più improbabile è il pronto soccorso della Bce, come richiesto, per esempio, dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani che chiede nuovi ribassi dei tassi d’interesse per dare una mano agli imprenditori. Un’ipotesi che, dopo otto tagli consecutivi del costo del denaro nell’arco di poco più di un anno, a Francoforte prenderanno in considerazione solo nel caso estremo di un tracollo dell’economia. Che per ora viene escluso.

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