Per Giorgia Meloni avere dazi sulle esportazioni in Usa al 15% è una “base sostenibile”. Sicuramente meglio di una guerra commerciale, che “avrebbe avuto conseguenze imprevedibili, potenzialmente devastanti”. La premier, da Addis Abeba, dice la sua sull’accordo stretto da Donald Trump e Ursula von der Leyen in Scozia, ma intravede ancora qualche spiraglio nelle pieghe del negoziato tra Bruxelles e Washington: “Bisogna valutare i dettagli e lavorarci, perché quello sottoscritto domenica non è vincolante, su alcune cose c’è ancora da battersi”.
Il pensiero, ovviamente, corre a settori come la farmaceutica o i vini, che pesano per un Paese come l’Italia. Si tratta di speranze più che di certezze, ma visti i tempi è pur sempre un punto di partenza migliore del 30% prospettato solo poche settimane fa dal tycoon. Meloni riconosce alla presidente della Commissione Ue di essere stata chiara nel dire che “bisogna andare nei dettagli, dunque essere certi che ci siano alcuni settori sensibili inseriti nell’accordo”, verificando se siano possibili esenzioni, “particolarmente su alcuni prodotti agricoli”.
La presidente del Consiglio non si sbilancia, invece, sugli approvvigionamenti di energia dagli Usa: “Non so a cosa si riferisca, al momento non so valutarlo”. Vuole prima vedere i testi nero su bianco, anche se nel frattempo vanno studiate strategie per aiutare i settori che ne usciranno più colpiti dai dazi. Sul punto Meloni si aspetta di più dall’Ue: “Semplificazioni, mercato unico, c’è tutto un lavoro su cui l’Europa non può più perdere tempo, anzi deve accelerare e compensare i possibili limiti”.
La macchina italiana, intanto, si attiva. Antonio Tajani riunisce alla Farnesina i rappresentanti del mondo produttivo, davanti ai quali ammette che i dazi al 15% sono alti ma “sostenibili”, confermando così la versione del governo. “Il rischio era avere una situazione peggiore”, ammette il ministro degli Esteri agli imprenditori, ai quali esprime una preoccupazione ancora maggiore: “La svalutazione del dollaro, una sorta di altro dazio”. La speranza è che la Bce abbassi ancora i tassi, ma di soluzioni ne prospetta almeno un paio a caldo: “Un quantitative easing o una procedura accelerata modificando per qualche mese il Sme Supporting Factor, che agevola il credito alle piccole e medie imprese, portandolo da 2,5 a 5 milioni”.
Se agli occhi del vicepremier “questa era la migliore trattativa possibile”, per il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, “forse era difficile fare di più”. Il responsabile del Mase ritiene che sia presto per valutare gli impatti dei dazi sull’economia italiana, ma una battuta geo-economica se la concede a ‘PiazzAsiago’: “Per noi sicuramente Kamala Harris sarebbe stata più conveniente”.
Almeno su questo non potrebbe che concordare Elly Schlein. “Non è un buon accordo come sostiene il governo Meloni – commenta la segretaria del Pd -. Ha i tratti di una resa alle imposizioni americane, dovuta al fatto che il governo italiano insieme ad altri governi nazionalisti totalmente subalterni a Trump, hanno spinto per una linea morbida e accondiscendente che ha minato l’unità europea e indebolito la posizione negoziale dell’Ue”, attacca. Senza risparmiare critiche all’esecutivo: “Anziché lottare per rinnovare i 750 mld di investimenti comuni europei del Next Generation Eu, Meloni e i suoi sodali ne regalano uno identico per portata agli Stati Uniti di Trump”. Schlein chiede risposte immediate sugli aiuti alle imprese e nel frattempo guida la ruspa verso Palazzo Chigi: “Altro che ponte con gli Usa, questa amicizia a senso unico di Meloni con Trump avrà un costo altissimo per le imprese e lavoratori italiani”.
I dem sono attivissimi e rispolverano parole di Giancarlo Giorgetti di un paio di settimane fa, sostenendo che il ministro dell’Economia ritenesse “insostenibile” ogni accordo diverso dal 10%. Fonti del Mef, però, rilanciano in tempo reale il video del 15 luglio scorso, in cui Giorgetti ammette che ricalcare i termini dell’accordo stretto con il Regno Unito “non è nella disponibilità” degli Usa, e pochi istanti dopo aggiunge che “non si può andare molto lontano da questo numero, altrimenti diventa insostenibile”. In effetti, un po’ di differenza la fa.
Ma è tutta l’opposizione a protestare per un accordo che ritiene una “resa incondizionata al sovranismo” del tycoon, per dirla con l’espressione del leader di Iv, Matteo Renzi. Duro anche Giuseppe Conte, che fa il raffronto tra la reazione di Meloni e quella di altri leader europei, ad esempio Francois Bayrou: “Si proclama sovranista, poi diventa portabandiera dello slogan ‘America First’. Crolla il castello di carte di Giorgia Meloni: una premier che, pur di compiacere la Casa Bianca, ha deciso di sacrificare il presente e il futuro di milioni di italiani. Nessun sussulto di dignità, nessun allarmismo per un Paese che corre verso il baratro”. Per Angelo Bonelli (Avs), poi, “spendere 750 miliardi di euro in gas americano significa dire addio alla transizione energetica e costringere famiglie e imprese italiane a bollette sempre più care”. Il coro, comunque, è unanimemente negativo, preannunciando una nuova estate calda della politica. Con il meteo che, ancora una volta, non c’entra.
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