Brexit e venture capital: cosa è cambiato in Europa



C’è stato un effetto Brexit sul venture capital europeo. Dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il mercato del venture capital europeo non è più lo stesso. Londra ha chiuso i rubinetti verso le startup continentali, mentre l’Europa, con cautela prima e con decisione poi, ha rilanciato gli investimenti oltremanica. Cosa ci dice tutto questo sul futuro dell’innovazione in Europa?

La Brexit è stata molto più di un evento politico. Per chi investe sulle startup è stata una cesura epocale. E non solo per i capitali che si sono spostati, ma anche per le strategie, le relazioni tra hub finanziari e il posizionamento di startup e fondi in cerca di nuove certezze in un’Europa frammentata.

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Un nuovo studio pubblicato su Research Policy, firmato da un gruppo di ricercatori del Politecnico di Milano (Vincenzo Butticè, Annalisa Croce e Andrea Odille Bosio del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano) in collaborazione con e dell’European Investment Fund (Simone Signore e Andrea Crisant), fa luce su come la Brexit abbia ristrutturato – in modo asimmetrico – i flussi di investimento di venture capital (VC) tra Regno Unito e Unione Europea.

Uno studio che non si limita a osservare dati aggregati, ma li disaggrega nel tempo e nello spazio, analizzando oltre 69.000 investimenti su base geografica, in uno dei più dettagliati database di VC esistenti in Europa.

Brexit e venture capital, uno shock sistemico

Chi fa innovazione sa quanto conti l’accesso al capitale. E quanto il capitale – soprattutto quello paziente e visionario del venture capital – sia sensibile al contesto politico e normativo. Il referendum del 2016 ha rappresentato uno shock non solo simbolico, ma concreto: ha innescato un periodo di incertezza durato anni, culminato nel distacco formale del Regno Unito dalla UE il 31 gennaio 2020.

Nel frattempo, come si sono mossi i capitali? In modo molto diverso a seconda della provenienza. Secondo lo studio, i fondi di venture capital britannici hanno reagito in modo immediato e netto già dopo l’annuncio del referendum: hanno ridotto drasticamente gli investimenti verso le startup europee. Al contrario, i fondi dell’Unione Europea non hanno cambiato subito rotta: hanno preferito una strategia attendista, per poi aumentare in modo deciso gli investimenti in UK solo dopo l’attuazione formale della Brexit.

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“Gli investitori britannici hanno reagito subito, tagliando gli investimenti in Europa già dopo l’annuncio della Brexit. Quelli europei, invece, hanno atteso maggiore chiarezza prima di modificare il proprio comportamento”, spiega Vincenzo Butticè, docente di Business Data Analytics al Politecnico di Milano.

Una frattura nei flussi, ma non nella fiducia?

È forse il dato più interessante: se i fondi UK hanno chiuso i rubinetti verso l’Europa continentale, i fondi UE hanno mantenuto (e in alcuni casi aumentato) la fiducia verso le startup britanniche.

Come interpretarlo? L’ipotesi degli autori è che, mentre Londra – più vicina al cuore del processo decisionale – avesse chiara la deriva verso una “Hard Brexit”, i fondi europei si trovavano in una posizione di maggiore incertezza e quindi meno pronti ad agire subito.

Ma c’è di più: dopo il 2020, quando i contorni regolatori della Brexit sono diventati definitivi, l’Europa ha rilanciato. Gli investimenti UE verso il Regno Unito sono aumentati, in controtendenza rispetto al “disengagement” britannico. Uno dei motivi? La possibile perdita di capacità di fundraising dei fondi UK, che ha lasciato spazi vuoti colmati da capitali continentali.

Inoltre, la maggiore presenza di sindacati misti (UK+UE) nei deal post-Brexit suggerisce un adattamento strategico: lavorare insieme per aggirare le nuove barriere normative.

La centralità di Londra come hub di innovazione

Lo studio disegna un quadro chiaro: il Regno Unito, che prima della Brexit rappresentava oltre il 30% del mercato VC europeo, sta perdendo peso sia nei flussi in uscita che nel suo stesso mercato interno. Dopo il 2016, i fondi britannici si sono concentrati su operazioni domestiche, ma non abbastanza da compensare la fuga di capitali europei. Il risultato? Una perdita di quota di mercato anche in patria.

Una tendenza che EconomyUp ha segnalato in passato, notando come la frammentazione post-Brexit potesse erodere il ruolo storico di Londra come hub dell’innovazione europea.

Perché il cambiamento riguarda anche l’ Italia

Lo studio ha un valore strategico anche per l’Italia. In uno scenario VC europeo sempre più definito da grandi hub (Parigi, Berlino, Stoccolma), l’Italia resta indietro: solo l’1,87% degli investimenti osservati nello studio ha coinvolto hub italiani. Eppure, la Brexit può rappresentare una finestra di opportunità: con Londra più isolata, c’è spazio per rafforzare i legami tra fondi europei e startup italiane, sfruttando nuove alleanze e canali di finanziamento intra-UE.

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La capacità di attrarre capitali dipende non solo dalla qualità delle startup, ma dalla densità dei network di investitori, acceleratori, università, policy maker. Serve un ecosistema integrato e riconoscibile a livello europeo. Se Londra arretra, chi saprà occupare quello spazio?

La lezione per policy maker e investitori

Cosa ci insegna questa vicenda? Che il venture capital è un mercato estremamente sensibile alle frizioni istituzionali. Ma anche che gli investitori sanno adattarsi, creare nuove alleanze, muoversi dove vedono opportunità. La Brexit ha mostrato che la velocità di reazione conta, ma che serve anche una visione sistemica.

Per chi scrive policy, è un richiamo all’azione: creare le condizioni per attrarre e mantenere capitali pazienti e internazionali, evitare barriere inutili, facilitare le sinergie transfrontaliere. Per i fondi, è il momento di ripensare le strategie: costruire ponti, non muri, e guardare a un’Europa post-Brexit in cui le linee di frattura si possono trasformare in direttrici di crescita.

Per le startup europee e italiane, è un messaggio di realismo e opportunità. La Brexit ha ridisegnato le mappe. Sta a noi capire dove (e con chi) costruire il futuro.




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