la virtuosa sinergia che piace ad aziende e lavoratori


Pubblichiamo suddiviso in due parti (la seconda sarà online il 23 luglio p.v.) questo intervento di Giovanni Scansani che fa il punto sulla recente evoluzione di un fenomeno che sta riscuotendo un crescente interesse da parte di imprese, lavoratori e Provider : l’integrazione di centinaia di public benefit (agevolazioni e bonus statali, regionali e comunali) nei piani di Welfare Aziendale tradizionalmente limitati ai soli fringe&flexible benefit.

Chi segue da vicino le tendenze evolutive del Welfare Aziendale si sarà accorto che, negli ultimi anni, una richiesta espressa in maniera crescente dalle Direzioni del Personale, dai più avveduti Welfare Manager aziendali e da alcuni rappresentanti sindacali è quella di poter finalmente realizzare una sinergia tra la tradizionale offerta privata di fringe e flexible benefit e quella pubblica, variamente composta dai numerosi bonus (monetari) e dalle diverse agevolazioni esistenti (fiscali, tariffarie e di altra natura) cui i lavoratori potrebbero (dovrebbero) accedere.

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Questa tendenza è trasversale e riguarda imprese di ogni settore e dimensione ed un’ulteriore prova dell’interesse che sta suscitando è quella offertaci dai più recenti capitolati di gara di alcune importanti realtà industriali (anche di natura pubblica) che, nelle fasi di selezione delle piattaforme per la gestione dei piani di Welfare Aziendale, hanno incluso la richiesta, ai potenziali fornitori, di garantire anche un servizio web-based per la “gestione dei bonus pubblici”.

Alla base di questa domanda che guadagna spazi sempre più ampi c’è la chiara visione della complementarità e della integrabilità tra le misure di Welfare Aziendale e quelle del Welfare Pubblico atteso che entrambi questi sistemi hanno analoghe finalità ed un comune obiettivo: offrire risposte che possano migliorare la condizione sociale ed economica dei beneficiari delle diverse misure, siano esse di natura privata o pubblica, sull’ulteriore premessa che gli àmbiti d’intervento – dell’uno come dell’altro sistema – sono, per lo più, gli stessi: la famiglia, la salute, la casa, la non-autosufficienza, lo studio dei figli, la mobilità, ecc.

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Se queste due fonti di risposta – una di natura aziendale (privata) e l’altra statale o fornita dagli Enti Locali (comuni e regioni) – fossero tra loro coordinabili e potessero “fare sistema”, quanto all’efficacia e al valore complessivo del sostegno che complessivamente potrebbero dare in plurime circostanze della vita di ognuno, si sarebbe di fronte ad un potenziamento non indifferente dell’impatto che quelle stesse risposte potrebbero generare rispetto ai bisogni di chi le riceve: i lavoratori e i loro familiari. Non solo: si otterrebbe una maggiore efficienza, evitando duplicazioni e sprechi, a tutto vantaggio sia dell’efficacia della risposta complessiva, sia della sua efficienza intesa come l’ottimizzazione nell’allocazione delle risorse disponibili. Detto altrimenti: prima di “spendere” il proprio “Credito Welfare” aziendale, per dare risposta ad un bisogno, il lavoratore dovrebbe potersi avvalere delle risorse già sul tavolo: in primis quelle pubbliche (che, oltretutto, con il suo stesso lavoro, ha personalmente contribuito a generare pagando le tasse).

Integrare tutto il Welfare

Una delle questioni da sempre più dibattute in ambito welfaristico è, del resto, proprio quella della possibile (e più volte auspicata) integrazione tra le misure di carattere aziendale e contrattuale e quelle di natura pubblica per poter attivare sinergie capaci di tradursi in un’articolazione di risposte più robuste per fronteggiare i più rilevanti bisogni individuali e familiari (tutti sostanzialmente in crescita considerando l’effetto congiunto delle criticità demografiche, delle loro conseguenze e delle ripercussioni delle tante tensioni che si scaricano anche sull’economia e sul benessere delle persone e dei nuclei familiari).

Sulla scia delle richieste aziendali di cui s’è detto e grazie alla capacità di alcuni operatori innovativi nel tradurle in soluzioni che potessero soddisfarle, negli anni più recenti si è assistito – nel più ampio quadro rappresentato dal mercato dei servizi di supporto al Welfare Aziendale (presidiato in Italia da 108 operatori: i cd. Provider – fonte: ALTIS-Università Cattolica, “Il Mercato dei Provider”, VII ed., 2024) – all’ingresso di una nuova tipologia di player specializzatisi nella creazione di soluzioni tecnologiche e di servizio dedicate al Welfare Aziendale “integrato”.

Questa “nuova frontiera” per le iniziative aziendali dedicate al benessere sociale ed economico dei lavoratori sta guadagnando un crescente spazio di implementazione per tre principali ragioni:

1) potendo oggi disporre di idonee offerte di servizio e di adeguate soluzioni tecnologiche, cresce il numero delle imprese che, tra le iniziative previste in favore dei propri dipendenti, attivano sistemi di facilitazione all’accesso ai cd. public benefit (l’insieme delle agevolazioni e dei bonus pubblici). Ciò si traduce, per i lavoratori, nella disponibilità di strumenti web-based che costituiscono il “punto unico” nel quale trovare informazioni e assistenza in relazione a tutta l’offerta di misure pubbliche (soprattutto monetarie) che caratterizzano il welfare a livello statale, regionale e comunale (tra le quali le più note, su scala nazionale, sono: il bonus asilo nido, il bonus trasporti, il bonus psicologo, la carta della cultura e del merito e molti altri);

2) tutti i principali Provider (nessuno dei quali – almeno sino ad oggi – ha sviluppato una sua specifica soluzione per gestire i public benefit) hanno integrato nelle proprie piattaforme l’offerta di agevolazioni e bonus pubblici grazie ad accordi di partnership con i protagonisti di un nuovo ed emergente segmento di mercato: quello composto dalle realtà che operano come Welfare Integration Partner. Il risultato, per Provider del Welfare Aziendale, è il completamento delle loro piattaforme e della loro complessiva offerta grazie all’integrazione e al re-selling delle soluzioni tecnologiche e di servizio sviluppate da quei partner (che ovviamente sono e restano liberi di muoversi anche autonomamente sul mercato);

3) infine, si deve tenere presente che, mentre per finanziare le due tradizionali tipologie di benefit (fringe&flexible) le imprese sborsano ogni anno non pochi denari (on top sulle retribuzioni e/o per assolvere gli obblighi in materia se previsti dal CCNL applicabile), l’apporto economico incrementale dato dai public benefit non comporta lo stanziamento di alcun budget aggiuntivo.

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Il Welfare “non riscosso”

A quanto ammonta questo apporto economico, ossia quanto valgono i public benefit? A questa domanda daremo risposta più avanti. Prima è essenziale porsi un altro interrogativo per comprendere appieno il fenomeno in questione. Occorre, infatti, chiedersi: ma perché mai i lavoratori avrebbero bisogno di una soluzione tecnologica ad hoc, messa a loro disposizione dall’azienda datrice di lavoro, per conoscere l’offerta pubblica dei numerosi bonus esistenti?

Facile (purtroppo) dare la risposta: perché un’ampia quota di lavoratori (come più in generale di cittadini) di questa offerta – fatta di centinaia di misure disponibili – non ne sa nulla o ne conosce solo una minima parte. Inoltre, laddove pure tale offerta sia – anche solo parzialmente – conosciuta spesso le persone (soprattutto se titolari di un reddito di lavoro) desistono dall’accedervi perché ritengono (a torto) di non averne diritto o perchè abbandonano la procedura da seguire in quanto complessa e defatigante (basta collegarsi ad un qualunque portale pubblico per cercare informazioni o tentare di “caricare” la propria domanda per rendersene conto).

Questa condizione è espressione di un fenomeno ampiamente descritto in ambito scientifico: è il cd. “non-take-up” delle misure pubbliche; un fenomeno che accomuna i molti e diversi sistemi di welfare nazionali esistenti, compreso il nostro. Il risultato di questa situazione è che una quota significativa dei soggetti aventi i requisiti per ottenere i sostegni offerti dal Welfare Pubblico non li richiede (non li conosce) oppure (se li conosce) rinuncia ad acquisirli.

Ci sono dunque un gap informativo, un possibile bias cognitivo e le procedure burocratiche che, nel loro insieme, giocano decisamente a sfavore di un’integrazione “naturale” tra le misure di Welfare Aziendale e quelle messe in campo dal Welfare Pubblico.

La dimensione del fenomeno del non-take-up è misurabile ed è espressa dal rapporto tra il numero dei beneficiari che accedono alle diverse misure pubbliche e il numero complessivo dei soggetti eligibili per quella stessa misura. La percentuale data da questo rapporto indica il tasso di Welfare Pubblico “non riscosso” ed è piuttosto elevata: si tratta, quindi, di una evidente criticità sociale.

Sin dal 2015 Eurofound (si veda l’analisi “Access to social benefits: reducing non-take-up”) ci ha reso edotti del fatto che, in media, il 40% (con picchi anche al 70%) dei soggetti eligibili per misure di sostegno pubbliche non le conosce e che, anche ove ne abbia contezza, quelle misure sono spesso soggette ad alti tassi di desistenza dal loro take-up a causa delle complessità burocratiche. Negli anni successivi il panorama è rimasto stabile, almeno qui da noi in Italia: il “Report Plus 2022” di INAPP ci dice che scarsa informazione, bias cognitivi e rinunce ad affrontare le contorte procedure pubbliche di accesso alle misure riguardano almeno il 37% degli italiani.

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Manca il dato economico puntuale del complessivo non-take-up in Italia (ma si può ipotizzare che si tratti alcuni miliardi di euro). Sono state effettuate (ad esempio dall’INPS e dal CAPP – Centro Analisi Politiche Pubbliche,) delle analisi relative ad alcune specifiche misure, ma una visione d’insieme, basata su solide evidenze contabili ed amministrative, non c’è. In particolare, manca un’analisi nazionale dei tassi di non-take-up che distingua, oltre che tra le diverse misure, anche tra tutti i diversi possibili cluster di beneficiari (in ragione del reddito, della residenza, della condizione lavorativa, ecc.). Un possibile benchmark, ancorché a-tecnico, per quantificare il fenomeno – pur sapendo che si tratta di un sistema di welfare non del tutto assimilabile al nostro – ci arriva da oltremanica: gli inglesi lasciano “per strada” 23 miliardi di sterline (dicesi ventitré miliardi) che non finiscono dove dovrebbero, ossia nelle tasche di chi avrebbe titolo per riceverli (fonte: Policy in Practice: “Missing Out 2024”). Analoghi fenomeni sono presenti negli altri Paesi UE (e non solo), ma solo in pochi di essi sono attivi centri specializzati di studio e di ricerca sul welfare “non riscosso” (in Francia, ad esempio, si distinguono la DREES – Direction de la recherche, des études, de l’évaluation et des statistiques e l’ODENORE – Observatoire des non-recours aux droits et services).

Welfare Integration e tecnologia

Proprio per superare tutte queste negative premesse sono state realizzate e sono sul mercato (in Italia ed in altri Paesi UE) soluzioni tecnologiche e di servizio proposte dagli operatori specializzati nella Welfare Integration che offrono alle aziende – affinché queste le mettano poi a disposizione dei lavoratori – strumenti di intuitiva utilizzazione (WebApp e piattaforme accessibili da qualunque device) che consentono la piena conoscenza delle diverse misure disponibili, rimuovono le difficoltà soggettive di orientamento e comprensione delle procedure di accesso ed hanno anche la capacità, sulla base delle necessità individuali e familiari e della residenza di ciascun beneficiario, di identificare l’offerta dei bonus pubblici cui accedere, accompagnando, se necessario, i potenziali beneficiari al take-up dei public benefit. Le soluzioni più evolute offrono anche servizi di gestione online della documentazione occorrente per presentare le domande di accesso alle misure pubbliche e servizi di consulenza (gratuiti per i lavoratori) in materie strettamente connesse a quelle nelle quali ricadono i bonus (si pensi all’assistenza fiscale o al counseling familiare).

Si tratta, oggettivamente, di un’architettura di servizio molto utile, capace di restituire informazioni su centinaia di bonus ed agevolazioni e che, grazie a sistemi basati su appositi algoritmi e che sfruttano le capacità dell’AI, sono in grado di aggiornare l’offerta delle misure pubbliche praticamente in tempo reale. Facile immaginare, oltre al positivo impatto economico, quale abbassamento delle fonti di stress si produca a vantaggio dei potenziali beneficiari e quali risparmi di tempo essi ottengano potendo evitare code e lunghi calvari per reperire, in sedi spesso diverse (uffici comunali, regionali, statali, CAF, ecc.), informazioni invece così ottenibili da (e in) un unico punto di contatto.

Qualcuno, giustamente, si starà chiedendo come mai a queste soluzioni non ci abbia pensato lo Stato (tramite l’INPS, ad esempio). Per darsene conto occorre considerare che al non-take-up delle misure pubbliche corrisponde una tendenza contraria messa in atto dalle P.A. le quali sono interessate al non-give-out dell’intero ammontare dei budget stanziati per le diverse misure (a questo serve, ad esempio, la scarsa o la confusa informazione, la complicazione delle procedure, l’assenza di semplicità nella navigazione dei portali pubblici). Certo, se il cittadino scopre l’esistenza di un’agevolazione o di un bonus, ha i requisiti per accedervi e supera le forche caudine delle procedure burocratiche, il bonus o l’agevolazione dovranno essere concessi (sono a quel punto un diritto). Ma prima di arrivare al traguardo il percorso è reso, spesso e volutamente, complicato.

A dire il vero qualcosa di buono ultimamente si è fatto, ma non nella direzione degli immediati interessi dei cittadini e dei lavoratori desiderosi di maggiore semplicità ed efficienza. L’INPS ha da poco realizzato il progetto “Welfare as a Service” (WaaS) che, nell’ambito della “Missione 1” del PNRR (“Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”), si propone di integrare e rendere fruibile, ad uso esclusivo delle P.A., il suo rilevante patrimonio informativo riguardante le prestazioni di welfare. Va da sé che, nell’era della “platform society” e della “platform economy”, le tecnologie ridefiniscano strumenti, pratiche e modelli di erogazione anche delle misure del Welfare Pubblico, ma – almeno per il momento – semplificazione, efficienza e investimenti in tecnologia per dare supporto ai lavoratori nell’accesso ai bonus sono qualità che vanno riconosciute alle soluzioni realizzate dai più innovativi tra i protagonisti della Welfare Integration, ossia a soggetti privati incaricatisi, però, di una mission fortemente improntata al perseguimento di finalità socialmente rilevanti (non per caso questo imprinting caratterizza le “finalità di beneficio comune” che, come prevede la legge, alcune di queste realtà si sono prefissate essendosi costituite come Società Benefit).

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Giovanni Scansani

Co-founder BONOOS Srl

Docente a contratto Università Cattolica Milano

L’articolo Welfare aziendale e public benefit: la virtuosa sinergia che piace ad aziende e lavoratori proviene da WeWelfare.


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