Il valore delle parole: quanto contano le dichiarazioni non finanziarie *


Una riforma del 2016 permetteva alle microimprese di presentare un bilancio senza “nota integrativa”. L’intento era la semplificazione. Ma la riduzione della trasparenza ha avuto conseguenze inaspettate, compresa la perdita di opportunità di crescita.

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Cosa dice la letteratura economica sulla disclosure finanziaria e non finanziaria

La letteratura economica ha da tempo riconosciuto il ruolo della trasparenza dei bilanci nel mitigare le asimmetrie informative tra imprese e stakeholder esterni. Gli studi più recenti hanno iniziato a esaminare gli impatti della disclosure non finanziaria — come le relazioni sulla gestione o le rendicontazioni di sostenibilità — sulla performance aziendale. Dan Dhaliwal, Oliver Zhen Li, Albert Tsang e Yong George Yang documentano che la redazione di questo tipo di documenti è associata a un minore costo del capitale, mentre Emirhan Ilhan, Philipp Krueger, Zacharias Sautner e Laura T. Starks rilevano che le informazioni ambientali favoriscono gli investimenti da parte degli investitori istituzionali. Gibbons mostra inoltre che la rendicontazione obbligatoria su tematiche ambientali e sociali stimola l’innovazione e gli investimenti di lungo periodo, pur con effetti potenzialmente indesiderati sul potere di mercato delle grandi imprese. Nonostante il crescente interesse, la maggior parte delle evidenze disponibili – che si concentrano su grandi imprese quotate – si basa su correlazioni condizionate e non riesce a identificare impatti causali.

Un nostro recente studio ha analizzato, con tecniche di analisi controfattuale, l’effetto di una riforma che, a partire dal 2016, ha introdotto nell’ordinamento italiano il cosiddetto “bilancio micro” (D.Lgs. 139/2015). Con il bilancio micro le società di capitali al di sotto di talune soglie dimensionali sono esentate dalla redazione della Nota integrativa, una sezione testuale del bilancio che arricchisce le informazioni finanziarie fornendo dettagli sulle voci di costo, sulle immobilizzazioni e sulle scelte contabili. Possono accedere al bilancio micro le imprese che, per due esercizi consecutivi, non hanno superato almeno due dei seguenti limiti dimensionali: (a) 175.000 euro per il totale dell’attivo dello stato patrimoniale; (b) 350.000 euro per i ricavi delle vendite e delle prestazioni; (c) cinque dipendenti in media d’anno. Le soglie monetarie  sono state di recente innalzate per tener conto degli effetti dell’inflazione.

L’analisi, condotta con la metodologia del Regression discontinuity design, mira a stimare gli effetti della riduzione della disclosure non finanziaria – approssimata dall’eliminazione della Nota integrativa – sui costi di compliance delle imprese e sulla loro capacità di accedere ai finanziamenti esterni.

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Quando “meno” non è “meglio”: i costi nascosti della semplificazione

Sebbene l’obiettivo della riforma fosse ridurre gli oneri amministrativi, non troviamo alcuna evidenza di risparmi di costo per le imprese esentate. Nello specifico, il rapporto tra costi totali e vendite risulta identico tra le imprese interessate e quelle non interessate dal provvedimento e tale risultato è confermato anche analizzando distintamente le spese per il personale e quelle per i servizi. I costi di compliance per la redazione della Nota integrativa sono quindi presumibilmente limitati, anche per le imprese di minore dimensione.

Gli effetti più evidenti emergono invece nella capacità di accedere a finanziamenti esterni. L’eliminazione della Nota integrativa ha un impatto negativo, ma temporaneo, sulla probabilità di ingresso di nuovi soci nella compagine azionaria (in figura 1).

Figura 1 – Cambiamenti nella proprietà rispetto al 2015

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L’accesso al credito

Per quanto riguarda l’accesso al credito bancario – la forma di finanziamento principale per le imprese italiane di piccola dimensione – l’adozione del bilancio micro comporta un calo significativo e persistente della probabilità di avere un prestito in essere da parte di un istituto di credito (in figura 2). L’effetto è quantitativamente rilevante: un aumento di una deviazione standard nella probabilità di adottare il bilancio micro riduce la probabilità di avere almeno un rapporto bancario di 17 punti percentuali dopo tre anni, circa un terzo di deviazione standard. Il risultato è guidato dalla riduzione nell’accesso al credito da parte delle imprese che, prima della riforma, non avevano rapporti bancari, mentre non si ravvisano effetti sulla cessazione dei rapporti già esistenti o sull’ammontare complessivo di credito concesso.

Figura 2 – Probabilità di avere almeno un rapporto bancario

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Questo risultato è coerente con l’idea che le banche utilizzino le informazioni contenute nelle Note integrative per valutare il merito di credito delle imprese che non hanno mai avuto rapporti con il sistema bancario.

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Chi non ha bisogno della burocrazia?

Perché alcune imprese dovrebbero adottare volontariamente un regime di rendicontazione che non comporta risparmi di costo e potrebbe limitare l’accesso al credito? Le nostre evidenze suggeriscono che l’adozione sia stata più frequente tra imprese più anziane, più produttive, con una struttura proprietaria concentrata e attive in settori meno dipendenti da finanziamenti esterni. Anche la struttura del sistema bancario locale ha un ruolo rilevante: l’adozione del bilancio micro è stata più frequente nelle province con una maggiore presenza di banche locali di piccole dimensioni, che tendono a valorizzare le informazioni qualitative e il relationship lending. Queste imprese potrebbero aver quindi sottostimato i possibili effetti negativi derivanti dalla minore trasparenza.

L’opacità può costare più della trasparenza

L’istituzione del bilancio micro ha permesso alle società di minori dimensioni di presentare bilanci semplificati, che non includono la Nota integrativa. Tale riforma non ha comportato una diminuzione significativa dei costi operativi, ma ha determinato una riduzione rilevante nell’accesso ai finanziamenti esterni. Le informazioni testuali svolgono quindi un ruolo importante nel mitigare le frizioni informative e nel migliorare l’accesso al credito bancario e l’ingresso di nuovi azionisti, anche per le imprese piccole e non quotate.

Per questo motivo, nel valutare analoghe proposte di semplificazione, i decisori politici dovrebbero considerare non solo i costi diretti di compliance, ma anche gli effetti che una minore trasparenza può avere sull’attività d’impresa e sulla crescita economica.

* Le opinioni e le affermazioni espresse sono degli autori e non riflettono necessariamente quelle della Banca d’Italia. L’articolo è pubblicato in contemporanea su Vox-Eu.

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Antonio Accetturo


Economista presso il Dipartimento di Economia e statistica della Banca d’Italia. I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente l’economia regionale, l’economia pubblica e la valutazione delle politiche pubbliche.

Audinga Baltrunaite

puglisi Audinga Baltrunaite è ricercatrice presso il Servizio struttura economica della Banca d’Italia e Research Affiliate al CEPR. Ha conseguito la laurea in discipline economiche e sociali presso l’Università Bocconi nel 2009 e il dottorato in economia presso l’Università di Stoccolma, Institute for International Economic Studies, nel 2016. I suoi principali interessi di ricerca riguardano economia pubblica, corporate governance e economia di genere.

Gianmarco Cariola

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Gianmarco Cariola è economista ricercatore presso la Banca d’Italia. Prima di entrare alla Banca d’Italia nel 2022, ha lavorato presso le divisioni di ricerca e sviluppo economico dell’Organizzazione mondiale del commercio. Ha conseguito la laurea magistrale in economia presso la Scuola Superiore Sant’Anna e il dottorato in economia internazionale presso l’Istituto universitario di Ginevra. I suoi interessi di ricerca riguardano il commercio internazionale, la dinamica delle imprese e l’econometria applicata.

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Annalisa Frigo

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Annalisa Frigo è economista presso la Direzione dell’analisi economica strutturale della Banca d’Italia, nel quadro dell’unità giuridica ed economica. Dottoressa in economia (UCLouvain, Belgio). La sua ricerca si concentra sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione e, più recentemente, sulla transizione verde.

Marco Gallo

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Marco Gallo ha conseguito una laurea magistrale in economia e finanza nel 1998 e un dottorato in economia nel 2002 presso l’Università di Napoli Federico II. Dal 1999 lavora come economista presso la Banca d’Italia e attualmente è all’unità di ricerca regionale a Roma. I suoi interessi di ricerca riguardano le banche e la finanza aziendale.



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