Competitività Ue: ultima chiamata


Perché non costruiamo più campioni globali? Imprese ad alto contenuto tecnologico capaci di dominare i mercati e innescare nuove tendenze sociali? Dove sta fallendo l’Europa se tutti i giganti tech hanno passaporto cinese o americano? Perché siamo appesi al gas russo o americano, materia prima di transizione, e anche sulle rinnovabili i pannelli fotovoltaici sono tutti prodotti a Pechino? E perché sulla Difesa dipendiamo dai software americani che ci impedirebbero persino di far decollare gli Eurofighter prodotti qui senza l’avallo del Pentagono?

Il divario di pil pro capite tra l’Unione e gli Stati Uniti è passato dal 15% nel 2002 al 30% nel 2023. È dunque opinione condivisa che, se l’Unione europea volesse davvero recuperare i livelli di reddito e competitività perduti e affrontare le sfide del futuro (tra cui una devastante crisi demografica), dovrebbe smettere di comportarsi come un’accozzaglia di Paesi diversi, debolmente connessi tra loro.

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«Serve diventare una vera federazione in alcuni campi specifici, coordinando tutte le politiche per raggiungere obiettivi comuni in settori fondamentali pur mantenendo la specificità del modello europeo, che ha il più esteso sistema di welfare al mondo e il minor livello di disuguaglianze sociali. Come già fanno Usa e Cina, politica commerciale, politica fiscale e politica industriale dovrebbero essere coordinate, invece che frammentate e differenziate tra governo europeo e singoli Stati nazionali, proteggendo con tariffe le industrie innovative su cui la Ue mostra i ritardi più seri, stimolandone lo sviluppo con investimenti e sussidi appropriati, garantendo la sicurezza degli approvvigionamenti con specifici trattati commerciali con i Paesi più affidabili», attacca subito l’economista Massimo Bordignon, ordinario di Scienza delle Finanze all’università Cattolica di Milano.

Le risorse necessarie per sostenere la transizione (il 5% del Pil europeo all’anno di maggiori investimenti, secondo alcune stime) dovrebbero arrivare da finanziamenti pubblici congiunti, emettendo anche debito europeo se necessario. E soprattutto dai privati, armonizzando e semplificando la regolamentazione dei mercati finanziari e bancari per veicolare il risparmio europeo a sostegno di questi investimenti. Rivedendo la politica della concorrenza nei settori fondamentali, che finora ha impedito lo sviluppo di campioni europei.

«Al momento la Ue però non è una federazione e non sembra aver voglia di diventarlo attraverso una nuova attribuzione di competenze e la revisione delle regole decisionali, inclusa l’abolizione del vincolo dell’unanimità sulle politiche principali. Soprattutto, dato che la situazione finanziaria dei Paesi principali è molto diversa, il rapporto Draghi uscito a settembre 2024 è stato classificato come libro dei sogni», ammette Bordignon. Il gap competitivo nel settore delle startup, ad esempio, si manifesta attraverso numeri impietosi. Cifre che evidenziano lacune strutturali profonde che vanno oltre la semplice carenza di capitali. Le aziende innovative europee attraggono solo il 5% del capitale di rischio globale, rispetto al 52% degli Stati Uniti e il 40% della Cina, secondo i dati del Fmi.

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Mario Draghi ritratto mentre consegna il suo Rapporto sulla competitività alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen

Nemmeno una startup fondata nell’Ue negli ultimi cinquant’anni è riuscita a superare una valutazione di 100 miliardi, mentre sei società americane hanno già oltrepassato la soglia dei mille. La strategia europea riconosce che molte delle startup più promettenti finiscano per trasferirsi altrove per accedere ai capitali necessari alla crescita, ma non affronta le cause culturali di questo fenomeno.

Secondo France digitale, associazione che rappresenta l’ecosistema digitale di Oltremanica, questo fenomeno costa all’Europa fino a mille miliardi annui in valore di mercato perduto. Per applicare il rapporto sulla competitività proposto da Mario Draghi, all’Europa mancano principalmente cinque elementi fondamentali, interconnessi tra loro.

Cinque elementi fondamentali che mancano all’Europa

Innanzitutto, serve subito un vero bilancio europeo con capacità di spesa e investimento in comune, simile a quello degli Stati Uniti. Senza risorse proprie significative, l’Ue non può finanziare investimenti strategici in tecnologia, energia, difesa e transizione verde su scala continentale. L’ex numero uno della Bce per questo propone una capacità fiscale centralizzata per sostenere progetti comuni.

Il secondo passo è realizzare un mercato unico veramente integrato. Una startup in Francia ha ancora più difficoltà a scalare in Italia o Germania rispetto a quanto non ne avrebbe una americana che scala da uno Stato all’altro. Serve completare il mercato unico, con armonizzazione normativa e vera libertà di circolazione dei capitali e dei servizi digitali.

Il vero salto di qualità sarebbe quello di realizzare una capacità industriale e tecnologica sovrana. Attualmente viviamo una dipendenza tecnologica da Usa e Cina, soprattutto in settori strategici come semiconduttori, intelligenza artificiale, cloud, energia e difesa. Draghi propone di costruire campioni europei in settori chiave, anche con strumenti industriali comuni e deroga temporanea alle regole della concorrenza per favorire le imprese strategiche.

L’altro passo necessario riguarda una governance più rapida. Il sistema decisionale europeo è lento, paralizzato dal principio dell’unanimità. Serve una mobilitazione del risparmio privato. L’Ue ha enormi risparmi fermi sui conti correnti, ma manca un sistema efficace per convogliarli verso investimenti produttivi europei. A tal fine è necessario completare l’Unione dei Mercati dei Capitali e creare strumenti che rendano attraenti gli investimenti in infrastrutture e innovazione in Europa.

Sull’innovazione serve da subito semplificare le regole. Oggi una startup che vuole espandersi da Milano a Berlino deve confrontarsi con normative nazionali completamente diverse su fallimenti, tasse e contratti di lavoro. Per questo Bruxelles propone una sorta di status legale opzionale per le aziende innovative, con regole comuni in tutta l’Unione.

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S’ipotizza anche un portafoglio digitale europeo per facilitare l’interazione delle imprese con le amministrazioni pubbliche, e la creazione di spazi protetti in cui le startup potranno sperimentare nuove tecnologie senza il peso immediato delle normative esistenti.

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Infine, il nodo dei finanziamenti. I fondi pensione europei – che gestiscono trilioni di euro – oggi investono pochissimo nelle startup. L’Unione vorrebbe incentivarli a farlo, anche attraverso un fondo pubblico-privato pensato per sostenere le imprese in fase di crescita. Altra volontà è quella di creare hub europei in grado di trasformare la ricerca scientifica in prodotti e aziende di successo. Bruxelles punta a coinvolgere grandi investitori, come fondi sovrani e assicurazioni, in un “patto volontario” per finanziare l’innovazione.

Per attrarre imprenditori e lavoratori qualificati da fuori Europa, la Commissione ipotizza invece un piano per rendere più semplice l’arrivo e la permanenza di talenti stranieri. Al centro di questo intervento c’è la riforma della Blue Card, un permesso di soggiorno europeo pensato per i lavoratori altamente qualificati, ma finora poco utilizzato. A muoversi nella stessa direzione un programma da 500 milioni annunciato due mesi fa dalla presidente Ursula von der Leyen, pensato per attrarre ricercatori di alto livello – in particolare dagli Stati Uniti – approfittando anche dei recenti tagli ai finanziamenti per le università americane.

D’altronde all’Europa serve una scala di finanziamento degli investimenti proposti che fa a pugni con la nostra difficoltà di concepire strumenti di debito comuni. Il rapporto Draghi stima la necessità di investimenti annuali aggiuntivi tra i 750 e gli 800 miliardi di euro per sostenere la competitività dell’Ue. Tuttavia, la proposta di finanziare tali investimenti attraverso strumenti comuni, come l’emissione di debito congiunto, ha incontrato resistenze da parte di alcuni Stati, in particolare la Germania.

Il rapporto evidenzia che l’attuale processo decisionale dell’Ue è spesso disaggregato, con una media di 19 mesi per l’approvazione di nuove leggi. Ma alcuni passi in avanti sono stati compiuti. Il 29 gennaio 2025, la Commissione Ue ha presentato la Bussola per la competitività, strumento che guiderà le politiche dell’Ue nei prossimi cinque anni, focalizzandosi su tre pilastri principali: innovazione, decarbonizzazione e sicurezza

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. C’è poi l’impegno politico della nuova Commissione europea. La presidente von der Leyen ha integrato le raccomandazioni del rapporto Draghi negli orientamenti politici per il mandato 2024-2029. Le lettere di incarico ai nuovi Commissari includono riferimenti espliciti alla necessità di attuare le proposte del rapporto, sottolineando l’importanza di una strategia industriale comune e di investimenti coordinati. Ancora poco, eppure qualcosa si muove.


Una bussola da seguire

I punti chiave del documento che delinea una cornice strategica per orientare i lavori della Commissione Europea

Presentata a fine gennaio, la Bussola per la competitività definisce l’impostazione da seguire per ciascuna delle tre esigenze trasformative indicate da Mario Draghi e le integra con cinque attivatori trasversali, essenziali per sostenere la competitività in tutti i settori. Ecco le tre principali aree di intervento e i cinque attivatori:

  1. Colmare il divario di innovazione
    • Favorire la creazione di startup e le condizioni per la loro espansione
    • Instaurare un mercato del capitale di rischio efficiente e di maggior spessore
    • Agevolare la mobilità e la capacità di trattenere i talenti
    • Investire in infrastrutture all’avanguardia
    • Promuovere l’innovazione e la ricerca
  2. Tabella di marcia comune per la decarbonizzazione
    • Integrare le politiche di decarbonizzazione con le politiche industriali, economiche e commerciali
    • Favorire l’accesso a un’energia a prezzo abbordabile
    • Irrobustire la giustificazione economica della transizione pulita
    • Promuovere la competitività dei produttori di tecnologie pulite
  3. Ridurre le dipendenze eccessive e aumentare la sicurezza
    • Sviluppare politiche, partenariati e investimenti per garantire la sicurezza economica, la resilienza e gli interessi strategici
    • Rafforzare le capacità industriali nel settore della difesa e il sostegno mediante la cooperazione paneuropea
    • Migliorare la preparazione

I 5 attivatori trasversali

  1. Semplificazione
  2. Ridurre gli ostacoli al mercato unico
  3. Finanziare la competitività
  4. Promuovere le competenze e posti di lavoro di qualità
  5. Migliore coordinamento delle politiche a livello nazionale e dell’Ue.

Articolo pubblicato suBusiness People di luglio-agosto 2025, scarica il numero o abbonati qui



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