Grande Salento, il dibattito sulla costruzione della “città jonico-salentina” negli anni Ottanta


Giulio Redaelli
L’intreccio tra gli interventi straordinari nel Mezzogiorno e i programmi transfrontalieri italo-greci dell’Europa aprì la prospettiva di un “Progetto speciale jonico-salentino”, per la costruzione di una “Città policentrica” tra Brindisi, Lecce e Taranto. Il dibattito che ne seguì rappresentò il presupposto per l’espandersi dello spirito confederativo che portò, negli anni successivi, alla firma dei protocolli d’intesa e al “Progetto del Grande Salento”.


Lino DE MATTEIS

Agli inizi degli anni Ottanta, si sviluppò un intenso dibattitto sulla ipotesi di costruire una “città jonico-salentina”. Un dibattito che rappresentò, culturalmente, il presupposto e, insieme, l’avvio di quella sensibilità confederativa che caratterizzerà, nei decenni successivi, i rapporti tra le province di Brindisi, Lecce e Taranto, e che porterà alla firma di vari protocolli d’intesa. Dopo il tentativo, fallito alla Costituente, di dare vita alla Regione Salento, e la istituzione, nel 1955, della Libera Università degli Studi di Lecce, sostenuta da un “Consorzio universitario salentino”, era la prima volta che le forze politiche, economiche e sociali si interrogavano sul futuro della penisola salentina, e sulla necessità che il territorio si coordinasse e interagisse per meglio crescere insieme.

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Erano gli anni dell’industrializzazione e degli interventi straordinari nel Mezzogiorno, che avevano interessato Taranto, con il polo siderurgico, Brindisi, con quello petrolchimico, e Lecce con le macchine movimento terra. Su Brindisi si andava addensando, anche, l’interesse dell’Unione Europea, alla vigilia dell’avvio dei programmi Interreg. Partiti, nel 1990, con i progetti di sviluppo transfrontalieri, i programmi Interreg riconoscevano al porto di Brindisi un ruolo strategico, nei rapporti tra le regioni frontaliere italiane e greche. Anni di grandi fermenti, di crescita sociale e di sviluppo economico, che stimolavano riflessioni appassionate sul futuro della penisola salentina. Brindisi «acquistava un valore paradigmatico… Le sue vicende… uscivano da una ristretta dimensione localistica per assumere un tono e una rilevanza esemplari», sottolinea Giovanni Stasi nel suo “Brindisi: dalla città della plastica alla città jonico-salentina”, pubblicato nel 2025, in cui racconta la storia di questa città, dal dopoguerra a oggi, «alla ricerca di una nuova identità: tra la Terra d’Otranto e il Grande Salento». Una storia che l’autore definisce «un laboratorio politico-economico e sociale nel Sud d’Italia, negli anni dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno: dall’ideologia del benessere allo sviluppo sostenibile».

Un ruolo fondamentale svolgeva il deputato socialista Claudio Signorile, tarantino e docente di Storia contemporanea all’Università di Lecce, ministro per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno, dal giugno 1981 all’agosto 1983, e ministro dei Trasporti, dall’agosto 1983 all’aprile 1987. Sulla scia dell’allora vigente legge elettorale proporzionale, che comprendeva in un’unica circoscrizione le tre province salentine, insieme al liberale tarantino Ennio Bonea, parlamentare dal 1965 al 1972, anche lui docente di Letteratura italiana all’ateneo salentino, avevano fondato il “Quotidiano di Lecce, Brindisi e Taranto”, che fin dall’inizio contribuì ad accrescere la rappresentazione unitaria della penisola salentina. Era il tempo delle vacche grasse per il meridione italiano, con la Cassa del Mezzogiorno che, dal 1950, erogava fiumi di denaro, fino al 1984, quando cambiò nome in Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno (AgenSud), che continuò a svolgere lo stesso ruolo, fino al 1992. Intuendo le potenzialità delle risorse dell’intervento straordinario, intrecciate con quelle dei fondi europei Interreg, Signorile fu, di fatto, l’ispiratore politico e culturale del dibattito sulla costruzione della “città jonico-salentina”.

Il tema venne sviluppato dall’urbanista e architetto brianzolo Giulio Redaelli, impegnato nella elaborazione del piano regolatore di Brindisi e nel programma transfrontaliero Italo-greco. Nel 1983, Redaelli, in collaborazione con Antonio Bruno, Gabriella De Querquis, Giuseppe Scialpi, Luigi Capone e Giorgio Goggi, coordinò la pubblicazione del libro “La costruzione della città ionico-salentina. Brindisi, Lecce, Taranto”, diventato, col tempo, il presupposto scientifico di quella spinta unitaria che, nel 2007, portò al progetto del “Grande Salento”. Nella prefazione al volume, Claudio Signorile, analizzando l’evoluzione culturale che c’era stata nel concepire l’intervento straordinario nel Mezzogiorno, dalla costruzioni delle “cattedrali nel deserto”, negli anni Cinquanta e Sessanta, alla valorizzazione delle risorse e caratteristiche specifiche dei territori, negli anni Settanta, sottolineava come «lo studio sull’area jonico-salentina coordinato dal prof. Redaelli è l’esempio più concreto di cosa possa significare muoversi nell’ambito della nuova impostazione culturale». «L’ubicazione geografica – aggiungeva Signorile –, l’organizzazione stellare dei vari insediamenti, articolata secondo una logica naturale che vede Brindisi, Taranto e Lecce come punti nodali di un sistema territoriale ancora in equilibrio, le potenzialità produttive fornite, da un lato, dalle condizioni fisiografiche della intera sub-regione (la più grande pianura, insieme a quella del Delta del Nilo, del Mediterraneo), dall’altro, dalle opere di infrastrutturazione irrigua effettuate in quest’ultimo decennio, sono interpretate come tessere di un mosaico, e pertanto non nella loro singolarità, ma nella continua interdipendenza, nella continua complementarietà, dando origine a reali processi di sviluppo… Oltre a queste valenze, spiccatamente legate all’ambito sub-regionale, lo studio riesce a scoprirne altre legate ad un contesto più vasto che è quello europeo;… l’ubicazione geografica è, nel caso specifico, una risorsa territoriale che, annullando ogni bieco provincialismo, riesce a dare all’intero Mezzogiorno d’Italia una valenza tale da ribaltare integralmente quello stato di marginalità, che, per anni, lo aveva posto lontano dai reali processi di sviluppo presenti nel centro d’Europa. L’ingresso della Grecia nella CEE infatti fa assumere al sistema urbano jonico-salentino la funzione di cerniera per ogni processo di scambio tra l’Europa ed il Medio Oriente».

Dopo sessant’anni dalla tripartizione del territorio dell’antica Terra d’Otranto, operata dal fascismo, si ritornava, insomma, a parlare diffusamente della necessità che il territorio delle tre province salentine trovasse intese e sinergie, per meglio crescere insieme, nel nuovo contesto politico-economico, nazionale ed europeo. L’intervento straordinario nel Mezzogiorno e l’ingresso della Grecia in Europa, il primo gennaio 1981, come decimo stato membro, aprivano, infatti, scenari nuovi e prospettive di sviluppo impensabili, sino ad allora, che potevano ridare centralità storica alla penisola salentina. Un tema che, negli anni Ottanta e Novanta, alimentò, tra ricerche, studi, convegni e articoli, un intenso e diffuso dibattito nella società e nella politica salentina, dettagliatamente riportato sulle pagine del “Quotidiano”, diretto, dal 1981 al 1996, dal giornalista brindisino Vittorio Bruno Stamerra. Nel 2014, Stamerra e Vito Redaelli curarono la raccolta degli elaborati dell’architetto Giulio Redaelli nel volume “Saggi sullo sviluppo della città policentrica jonico-salentina (1982-1995)”, con il contributo di Ferdinando Scianna, Tonino Bruno e Giorgio Goggi.

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L’urbanista milanese Giulio Redaelli assegnava al territorio delle province di Brindisi, Lecce e Taranto la definizione di “regione storico-geografica jonico-salentina” e riteneva che, per le sue caratteristiche fisiche, antropiche e produttive, fosse, naturalmente, predisposto a diventare un’unica “città policentrica”, la cui capacità di esserlo diventava funzionale all’intreccio favorevole di alcune circostanze, come l’intervento straordinario nel Mezzogiorno, i rapporti transfrontalieri con la Grecia e la prospettiva del potenziamento del Canale di Suez. Il dibattito sul futuro del Salento mirava sia a sensibilizzare le forze politiche, sociali, economiche e le istituzioni locali, sia a promuovere, a livello regionale e nazionale, la programmazione di un “Progetto speciale” per la penisola salentina, convogliando, a questa finalità, le risorse finanziarie nazionali ed europee disponibili. «L’ipotesi di progetto speciale – sottolineava Giulio Redaelli – è dunque destinata a coloro che sono delegati alle decisioni, sia sulle linee generali che sulle scelte operative: il Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno (e, suo tramite, la CEE, gli altri ministeri, le aziende e le imprese nazionali e regionali, pubbliche e private a partecipazione pubblica), Regione, Province, Comuni. Ma, soprattutto, è destinato alle forze sociali produttive e individuali: sulle loro iniziative graverà, infatti, sia per scelte di comportamento sia per scelte di orientamento dei centri di potere, la costruzione della nuova identità culturale e, quindi, del nuovo ambiente».

La sua visione era chiara: il Salento, con quasi due milioni di abitanti, come un’area urbana unica e policentrica, una regione storico-geografica, potenzialmente una grande città europea, se considerata nel suo insieme. Una condizione non solo possibile, ma già funzionante in larga misura, senza, però, l’efficacia che sarebbe necessaria. Il sentimento dell’unicità della Terra d’Otranto, e dei caratteri originari della sua identità culturale, si ritrova nei comportamenti diffusi delle popolazioni, nonostante le riforme amministrative, che, nel tempo, hanno diviso il territorio. E allora, sosteneva, con entusiasmo, Giulio Redaelli, «è il momento di una scelta di fondo: niente impedisce più che le tre Province, anche in rappresentanza dei Comuni, e i tre capoluoghi di provincia, si accordino per organizzare un tavolo permanente di auto-coordinamento, ossia di concertazione nel rispetto dell’autonomia di tutti, dunque conflittuale, finalizzata al decidere unanimemente sugli argomenti emergenti nel concreto della gestione, a livello regionale, nazionale, comunitario». L’architetto indicava anche la via normativa da percorrere: «Se le linee strategiche sono condivise, come sembra non soltanto a me – sosteneva –, allora la legge 142/1990, art. 27 (Accordo di programma), prevede la possibilità dell’auto-coordinamento, anzi, la obbliga, per tutte le opere, interventi e programmi di intervento che richiedono la decisione di almeno due istituzioni: questo tavolo, assistito da un gruppo di operatori scientificamente orientati sulla strategia, anche utilizzando le già rilevanti competenze universitarie, consentirebbe di far fronte sia al centralismo barese che al centralismo romano: il Salento è oppure no una Regione, indipendentemente dal riconoscimento istituzionale? Se lo è, deve attrezzarsi come tale, anche per concorrere alle iniziative del tavolo interregionale già costituito dalle Regioni interessate alla dorsale adriatica».

L’idea di lavorare alla definizione di un “Progetto jonico-salentino” era suggestiva, tanto da arrivare, effettivamente, a ipotizzare a Brindisi, nel 1995, la costituzione di un “Tavolo per la concertazione interistituzionale sul futuro del Salento”. Ma il vero problema restava la sua attuazione, ed è lo stesso Redaelli che, a fronte del sostegno degli amministratori locali, della collaborazione di alcuni professionisti e delle disponibilità verbali di tanti, sottolineava con amarezza la «totale solitudine» in cui era stato lasciato, «non ho mancato di ricordare, senza polemica, il dissenso dello Stato centrale (escluso il periodo che ha visto la presenza del ministro Signorile al Mezzogiorno e ai Trasporti) delle grandi lobby burocratiche centrali e locali e, soprattutto, il silenzio della cultura urbanistica cosiddetta dominante, italiana e pugliese».

Se, con gli inevitabili cambiamenti politici ai vertici delle istituzioni locali, regionali e nazionali, il dibattito sulla “costituzione della città jonico-salentina” si affievolì, fin quasi a spegnersi, quel fermento unitario aveva, comunque, posto le sue radici nel sentire sociale e culturale di brindisini, leccesi e tarantini. Aveva segnato una traccia da percorrere, che, sul finire degli anni Novanta, diede frutti concreti con la sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra i tre presidenti delle Province, che portò all’istituzione di un’“Agenzia per lo sviluppo dell’area jonico-salentina”. Quel dibattito, insomma, non fu inutile, aveva piantato il seme dello spirito confederativo che, periodicamente, caratterizzerà, in seguito, i rapporti tra le massime istituzioni salentine. Quel protocollo, del 1999, fu, infatti, il primo di una serie sottoscritta, poi, nel ventennio successivo.



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