Big Tech e open source: alleanza reale o semplice opportunismo?


Il software open source ha rivoluzionato il mondo dello sviluppo con la sua filosofia di trasparenza e collaborazione. Ma cosa succede quando le grandi aziende tecnologiche, un tempo sue avversarie, decidono di abbracciarlo? Le conseguenze di questo cambiamento sono tutt’altro che semplici.

L’origine del software open source

Il software open source è nato come ribellione al software proprietario, per colpa o per merito del driver di una stampante Xerox che Richard Stallman aveva sistemato – risolvendo un problema – ma che Xerox non voleva rilasciare perché proprietario e quindi chiuso ai potenziali contributi della comunità.

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Un piccolo incidente che è alla base di una grande rivoluzione nello sviluppo del software, e che oggi vede uno schieramento compatto a favore del software open source che va dai singoli hacker ai giganti della tecnologia, le Big Tech.

Gli anni di conflitto tra big tech e open source

Il rapporto, però, non è sempre stato idialliaco. Anzi, possiamo dire che per un po’ di anni le Big Tech, e in particolare Microsoft, hanno fatto di tutto per ostacolare la vita degli sviluppatori di software open source, e non sempre in modo etico, corretto o amichevole.

Alla fine degli anni ’90 Microsoft aveva iniziato a distribuire dei document interni, spesso inviato come memo alla stampa, che descrivevano il software open source e in particolare Linux come una minaccia da estirpare. Alcuni di questi documenti erano stati raccolti da Eric Raymond e definiti collettivamente come “Halloween Papers” perché diffusi nella settimana del 31 ottobre.

La strategia di chiusura e il controllo sui formati

Per chi vuole avere maggiori informazioni su questi documenti, invito a leggere la pagina su Wikipedia, che contiene anche i puntatori agli originali o a copie integrali dei documenti. In alcuni casi, ci sono anche i commenti dei giornalisti, o di alcuni esponenti del software open source come lo stesso Eric Raymond.

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Nel 1998, Bill Gates aveva inviato un memo ai membri dell’Office Product Group in cui affermava che Microsoft avrebbe dovuto evitare in ogni modo che i documenti di Office potessero essere gestiti da altri software in modo corretto, per cui i contenuti dovevano dipendere dalle funzionalità proprietarie del software.

Linux come minaccia per il dominio Microsoft

Nei primissimi anni 2000, Steve Ballmer – CEO di Microsoft e all’epoca principale collaboratore di Bill Gates – aveva definito Linux come un cancro “perché si attacca in senso intellettuale a tutto quello che tocca”. La definizione aveva avuto un’ampia eco sulla stampa, e questo aveva consentito a Steve Ballmer di ritornare sul tema, usandolo anche per commentare migrazioni a Linux come quella della città di Monaco di Baviera.

La svolta di Nadella e la nuova strategia Microsoft

Nel 2014, Satya Nadella è arrivato alla guida di Microsoft, e l’atteggiamento è completamente cambiato. Da quel momento in avanti, Microsoft ama Linux, che non è più un cancro ma il sistema operativo della maggior parte – ufficialmente, ma qualcuno sostiene che si tratta della totalità – dei server su cui gira Azure, il cloud Microsoft.

Un tempo antagonista feroce del software open source e in genere delle tecnologie e degli standard aperti, al punto da non aver mai implementato nessuno standard di email ma di averli sempre reinventati e mantenuti strettamente proprietari (Outlook è il prodotto più proprietario della storia della tecnologia, e forse anche per questo il più problematico), Microsoft si è reinventata come azienda totalmente orientata agli sviluppatori, al punto da integrare Linux in Windows, da rilasciare .NET con licenza open source e da acquistare GitHub per 7,5 miliardi di dollari.

La facciata dell’amore per l’open source

Una virata che non è passata inosservata, e che – nella tradizione Microsoft – è stata comunicata in modo assolutamente perfetto, tanto che sono in molti a pensare che Microsoft e le altre Big Tech oggi siano tra i maggiori contributori del software open source, e quindi siano anche a favore delle libertà e della sovranità digitale.

Se da una parte è vero che Microsoft, Amazon, Apple, Google, IBM e Meta sostengono o sviluppano progetti open source, sponsorizzano Apache Software Foundation e Linux Foundationqualcuno si è mai chiesto perché solo queste due e non le altre fondazioni open source? – e sfruttano le tecnologie basate sul codice sorgente aperto sia per le infrastrutture che per alcuni prodotti, dall’altra bisogna andare a vedere dietro alla facciata per scoprire la verità.

Cosa significa questa trasformazione per il futuro della collaborazione aperta? Perché il supporto finanziario va solo in due direzioni, e non in tutte le direzioni (con qualche eccezione da parte di Google)? Perché il codice sorgente aperto va bene, e gli standard aperti è come se non esistessero? Ma soprattutto, quanto dei principi guida dell’open source – l’etica, la trasparenza, la collaborazione – è stato assorbito, e quanto è rimasto lettera morta?

I vantaggi economici dell’approccio open source

Il principale motivo per cui le Big Tech hanno adottato l’approccio open source per lo sviluppo di alcuni tra i loro prodotti sta nella significativa riduzione dei tempi e dei costi di sviluppo del software, grazie alla possibilità di usare e adattare componenti software già collaudati e sottoposti a revisione, senza dover reinventare ogni volta la ruota e verificare che funzioni, nello stile del software proprietario.

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Inoltre, l’approccio open source viene visto in modo positivo da molti sviluppatori, che in questo modo hanno la possibilità di contribuire alla comunità tecnologica in modo visibile, e spesso di lavorare a progetti significativi come nel caso del kernel Linux, migliorando la propria visibilità e il proprio status.

Le contraddizioni nascoste del supporto selettivo

Tutto questo, però, non convince a fondo i sostenitori del software open source della prima ora, perché il software open source ha permesso ad aziende che non avevano un’offerta adeguata di avere un futuro, come nel caso di IBM con l’acquisizione di Red Hat, e di Microsoft con la fragilità dei server Windows che non avrebbero mai consentito di costruire una soluzione cloud adeguata, ma questo non viene mai pubblicamente riconosciuto.

Al contrario, quando si tratta di finanziare una fondazione open source sia IBM che Microsoft scelgono Apache Software Foundation e Linux Foundation, ovvero le due realtà più distanti in assoluto dalla comunità del software open source, e più vicine alle grandi aziende (più di un President di Apache Software Foundation nello stesso momento era anche dipendente Microsoft).

Il caso emblematico di Apache OpenOffice

Ovviamente, non posso dimenticare che Apache Software Foundation ha offerto a IBM una casa per Apache OpenOffice, il primo e unico software open source creato per uccidere un progetto open source sviluppato dalla comunità – LibreOffice – in quanto questo entrava in un settore strategico, quello delle suite per ufficio, che le aziende volevano controllare in ogni modo.

La persistenza dei monopoli proprietari

E infatti, a distanza di oltre 25 anni la situazione non è affatto cambiata per quello che riguarda i documenti di Office, oggi Microsoft 365, perché – nonostante tutte le dichiarazioni d’amore – in questo caso il software open source e gli standard aperti continuano a rappresentare un rischio per un fatturato di oltre 25 miliardi di dollari che viene difeso con un formato proprietario sviluppato in modo da contrastare l’interoperabilità.

Strategie di marketing e lobby dietro l’open source

Quindi, il sospetto che l’adozione del modello di sviluppo open source e le grandi dichiarazioni di amore per Linux siano solo una strategia per risparmiare soldi e per gettare un po’ di fumo sulle altre strategie tese a mantenere il dominio o addirittura il monopolio sul desktop o su altri settori di nicchia particolarmente ricchi, rimane e si rafforza quando arrivano ricerche che dimostrano investimenti milionari in attività di lobby che non sono giustificati se non dalla ricerca del consenso e del supporto da parte delle istituzioni politiche.

Il tentativo di proprietarizzazione dell’open source

E non aiuta il comportamento degli investitori istituzionali, che appena intravedono la possibilità di “proprietarizzare” il software open source per impedire agli utenti di utilizzare i programmi senza pagare non esitano a inventarsi licenze creative come quelle adottate da MongoDB e Redis. Fortunatamente, nel caso di Redis, questa strategia è stata fermata dall’intervento dei leader del progetto.

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Verso un futuro di collaborazione autentica

Oggi, il software open source non è più solo un’alternativa al software commerciale basata sull’entusiasmo dei volontari, ma è il substrato su cui poggia l’infrastruttura tecnologica globale. Le aziende hanno portato risorse, stabilità e credibilità, ma hanno fatto solo metà della strada.

Il software open source e gli standard aperti sono l’unica strada verso le libertà e la sovranità digitale degli individui, delle organizzazioni e dei Paesi, che rappresentano anche l’unica opportunità di crescita per la nostra società, visto che un futuro nelle mani di poche aziende in grado di determinare cosa possiamo e cosa non possiamo fare grazie al controllo della tecnologia non rappresenta certo un’opzione positiva soprattutto per le nuove generazioni.

Speriamo che la storia d’amore tra le Big Tech e il software open source superi la fase attuale della strategia opportunitstica e – come succede in qualche film – si trasformi in un rapporto maturo e consapevole, a vantaggio di tutti.



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