Così la Nato prepara la sfida del 5% in partnership con l’industria


Analista dell’Istituto Affari Internazionali a Roma, Alessandro Marrone è cauto: «Il progetto DIANA deve fare i conti con la frammentazione tra i Paesi membri della Nato, un’organizzazione peraltro che non fa politica industriale tecnologica. Difficile quindi che il programma possa rivelarsi un cambio di paradigma (…) Certo è una opportunità per le piccole imprese che possono accedere ai vari centri di test, tra gli altri il Polo nazionale della Dimensione subacquea, a La Spezia».

La trafila per godere pienamente di DIANA prevede una serie di tappe. Secondo l’organizzazione militare, attualmente 10 imprese hanno appena terminato la seconda fase. In tutto 74 aziende fanno parte della classe del 2025. Due le società italiane prescelte finora la Orbital Recharge in Space (ORIS), una azienda specializzata nella trasmissione di energia via la tecnologia laser; e la Fluid Wire Robotics, una impresa nata da una costola della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e attiva nella robotica.

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Spiega da Torino Domenico Sfasciamuro, uno dei fondatori di ORIS, azienda nata nel 2024 e che per ora dal programma DIANA ha già ricevuto sussidi per 100mila euro: «La nostra società è dedicata allo spazio. Per noi partecipare all’iniziativa della Nato è stato utile per capire un mondo, quello militare, nel quale le informazioni sono difficili da trovare. Il nostro obiettivo è di capire se il nostro lavoro potrà essere usato oltre l’ambito spaziale e in campo anche militare».

Interpellata su quanto denaro è stato finora investito, una portavoce della Nato ha risposto: «Non divulghiamo tale importo. Possiamo affermare di essere sulla buona strada con gli investimenti e di aver effettuato più di 10 investimenti diretti». Al di là degli aspetti più tecnologici, per la Nato si tratta anche di aiutare le imprese più piccole a partecipare agli appalti. Tom McSorley, un consigliere del programma DIANA, faceva notare di recente che gli avvocati in questo frangente sono importanti quanto gli ingegneri.

Tralasciamo per un attimo gli aspetti morali e politici del riarmo, che tanto divide i Paesi membri della Nato. Storicamente, l’aumento della spesa in difesa incrocia questioni industriali, prima ancora che economiche. È noto che la ricerca in campo militare ha dato alla luce Internet, ed altre invenzioni ormai inserite nella nostra vita quotidiana (la navigazione satellitare, il forno a microonde, il nastro adesivo, il nylon e altri tessuti artificiali, la bustina di tè, i succhi concentrati).



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