Sbirciando dall’altra parte della “barricata”


Ivan Fogliata

A volte per capire il presente serve fare un tuffo nel passato. A fronte di tanta modernità con evoluzioni quali il Fintech, l’instant e digital lending, l’intelligenza artificiale applicata all’analisi creditizia rischiamo, infatti, di perdere di vista i principi guida e le basi del… credito. Alla radice della parola “credito” troviamo il verbo credere: le banche sono gli istituti del credere, ma credere a cosa? Certamente le banche non credono alle favole ma devono giocoforza credere ai progetti dell’impresa, alla sua capacità di fare business e rimanere sul mercato, alla sua capacità di onorare il debito. La banca deve poter vedere il futuro dell’impresa. Ma se la banca ha elementi sufficienti per “credere” nel progetto dell’impresa anticiperà oggi ciò che il “macchinario azienda” produrrà domani in termini di reddito rendendo possibile l’investimento. Un vero e proprio viaggio nel tempo di risorse finanziarie! E cosa chiede in cambio la banca per questo servizio? Un “interesse”. Credere – e dare credito – non è un’attività priva di rischi ma se la banca sceglie un progetto e compartecipa al rischio ha diritto a chiedere di essere cointeressata ai risultati del progetto, quindi a ricevere la sua cointeressenza ovvero il suo “interesse”.

Quindi in primis come ragiona una banca? Se ci pensiamo chiedere credito producendo alla banca il solo bilancio storico è come chiedere alla medesima di guidare guardando solo nello specchietto retrovisore. Nel nostro mondo anglofilo tale approccio è chiamato “backward looking” ovvero l’analisi creditizia che osserva il passato, ma un importante e oramai irrinunciabile aiuto arriva dalla predisposizione dei piani finanziari futuri ovvero la produzione del celeberrimo business plan. Il business plan consente di cambiare prospettiva e passare dal backward al c.d. “forward looking”, la banca può quindi “guidare il rapporto creditizio” guardando anche nel parabrezza anteriore.

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Presentarsi al mondo del credito senza un piano finanziario complica di molto il rapporto creditizio anche a causa della continua produzione normativa che ha interessato banche e imprese nell’epoca post-Covid. Di cosa stiamo parlando? Di due grandi “provvedimenti”. Il primo porta l’altisonante nome di “Guidelines on loan origination and monitoring” noto anche come “Linee guida Eba” e il secondo porta il nome di Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (Ccii). Il primo provvedimento interessa le banche imponendo alle stesse di scostarsi dalla sola logica delle garanzie e di concentrarsi sulla sostenibilità del debito futura, il secondo provvedimento obbliga invece gli imprenditori a dotarsi di adeguati assetti organizzativi che consentano di redigere piani finanziari con una visibilità futura di almeno 12 mesi.

Pianificazione, pianificazione e pianificazione: questo è il mantra dell’accesso al credito moderno. Tutto vero, ma abbiamo finito? Assolutamente no. C’è il tema della sostenibilità del debito. La memoria della grande crisi dei mutui subprime del 2008 è ancora viva nelle nostre menti; fu una fase che mise a dura prova la resilienza del mondo del credito, ne scaturirono provvedimenti legislativi “punitivi” per le banche: Basilea 3 impose rafforzamenti patrimoniali, l’Ifrs 9 introdusse lo staging dei crediti e il sistema di allerta precoce mentre l’Aqr fu un intervento diretto di Bce e Banca d’Italia direttamente presso le banche per verificare la “qualità degli attivi” in particolare dei crediti verso le imprese finanziate. L’Aqr ha portato in auge due indicatori fondamentali utilizzati da Bce per verificare la sostenibilità del debito delle aziende clienti; indicatori ad oggi utilizzati anche ai fini Ifrs quali segnali di allerta precoce (early warning indicators): Dscr (o debt service coverage ratio) e rapporto Pfn/Ebitda. Il primo indicatore misura la capacità di rimborsare il servizio annuo del debito con i flussi di cassa generati dalla gestione operativa dell’impresa (e deve essere naturalmente ben maggiore di 1), il secondo pone a rapporto l’indebitamento finanziario netto con il margine operativo che l’impresa è in grado di produrre (un valore superiore a 5 è ritenuto eccessivo). Ma le linee guida Eba obbligano le banche anche a ragionare se concedere credito a prescindere dalle garanzie; eppure, le garanzie rivestono ancora un ruolo chiave e preponderante. Perché? Due solo gli aspetti: il commitment dell’impresa/imprenditore e l’impatto sui fondi propri della banca a seguito delle regole di Basilea. In merito al primo aspetto, un imprenditore che fornisce garanzie mostra di essere molto “ingaggiato” nel suo business e quindi dà prova alla banca di quel commitment che porterà l’imprenditore a profondere tutti gli sforzi possibili per far sì che il progetto della sua azienda funzioni. In merito al secondo aspetto dobbiamo imparare un nuovo “vincolo” all’attività bancaria: il livello di fondi propri. Di cosa si tratta? Molto semplicemente i fondi propri sono, al netto di alcune correzioni imposte dalla normativa, il livello di patrimonio netto di proprietà della banca (capitale sociale, riserve, utili non distribuiti, prestiti obbligazionari irredimibili ecc.). Le regole di Basilea impongono alle banche un limite ai prestiti dettato dalla dimensione dei fondi propri. All’incirca, ci perdonerete per l’estrema semplificazione, i fondi propri devono essere il 10% del valore “ponderato per il rischio” dei prestiti concessi. In parole povere, nel nostro esempio, una banca può prestare denaro per non più di 10 volte i fondi propri che possiede anche se disponesse di raccolta molto più elevata. I protocolli di Basilea hanno introdotto tale freno per evitare che le banche crescessero in maniera eccessiva e soprattutto eccessivamente rischiosa. 

Ma eccoci al tema garanzie, cosa significa attivi ponderati per il rischio? I risk weighted assets o Rwa sono i prestiti concessi moltiplicati per un fattore di ponderazione, ovvero per un “peso”, il cui valore come potete immaginare deriva dal livello di garanzie concesse dal prenditore. Ad esempio un prestito senza garanzie da 100mila euro ne “assorbe” 10mila di fondi propri della banca perché senza garanzie; un mutuo casa garantito da ipoteca da 100mila euro passerebbe prima da un peso del 20% che ne ridurrebbe il valore a 20mila euro grazie proprio alla garanzia ipotecaria e quindi andrebbe ad assorbire 2.000 euro di fondi propri della banca.

I ragionamenti che sono imposti a una banca sono tutt’altro che semplici e particolarmente articolati allora! Ma come insegnava il filosofo Sun Tzu nell’Arte della Guerra: “conosci il tuo nemico e conosci te stesso, in cento battaglie non sarai mai sconfitto”. Se impariamo come ragiona una banca e come è fatta la nostra impresa non potremo mai essere “sconfitti”.

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*Co-founder ed executive partner di inFinance, partner dello Studio Associato Ass&F Partners, Ceo di Fsa S.r.l., società specializzata nella consulenza in finanza d’impresa. Presidente del Cda di Südtirolbank S.p.a.

L’esempio di Cotonella

Con inFinance abbiamo seguito il percorso di passaggio generazionale di Cotonella S.p.a.. L’operazione prevedeva un acquisto con debito di azioni (il c.d. leveraged buy-out); trattandosi di un finanziamento di un certo cabotaggio l’istituto di credito selezionato ha richiesto piani finanziari non solo della società finanziata ma di tutto il gruppo. Dopo aver predisposto un business plan completo e accuratamente dettagliato, abbiamo potuto dimostrare in maniera chiara e trasparente la sostenibilità economico-finanziaria del progetto di leveraged buy-out (Lbo). La banca, attraverso l’analisi di scenari multipli, ha avuto evidenza diretta della capacità del gruppo non solo di sostenere il debito, ma anche di gestire eventuali situazioni critiche che potevano manifestarsi lungo il percorso. In particolare, è stato elaborato un piano finanziario pluriennale contenente: proiezioni economico-finanziarie complete, che evidenziavano la capacità di generare flussi di cassa adeguati a coprire il servizio del debito (Dscr ampiamente superiore a 1); un’analisi dettagliata della posizione finanziaria netta (Pfn) e della sua evoluzione nel tempo, evidenziando un rapporto Pfn/Ebitda sostenibile e in linea con i parametri richiesti dalla banca; una valutazione approfondita dei rischi, tramite analisi di sensitività e stress-test, che hanno ulteriormente rassicurato l’istituto di credito sulla solidità del progetto proposto. Ma non solo. Un elemento decisivo nel rapporto con la banca è stato il coinvolgimento diretto degli azionisti del gruppo Cotonella, che hanno confermato il proprio impegno (commitment) attraverso specifiche garanzie lungo il percorso. Questo passaggio, lungi dall’essere visto come un semplice obbligo formale, è stato valorizzato dalla banca come segnale concreto di fiducia e responsabilità da parte dell’impresa nei confronti del progetto di crescita e continuità aziendale. L’operazione si è conclusa con successo proprio grazie alla convergenza di interessi tra l’impresa e l’istituto di credito, frutto di una strategia forward looking ben costruita e comunicata. Il nostro ruolo di consulenti è stato paragonabile al ruolo di un “interprete”; abbiamo tradotto le due lingue, quella aziendale e quella bancaria perché potessero comunicare e comprendersi. Ciò ha permesso a Cotonella non solo di completare con successo il passaggio generazionale, ma anche di rafforzare ulteriormente la propria posizione competitiva sul mercato.



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