Corea del Nord, quel vostro collega che lavora sempre da remoto potrebbe essere un infiltrato di Pyongyang


Passano un paio di minuti e comincio a temere che sia fuggito. Ma poi si ricollega. La sua connessione non è molto migliorata, ma le sue risposte sono più chiare. Forse ha riavviato il suo chatbot o ha chiesto a un collega di dargli ragguagli. La videochiamata prosegue per qualche minuto e ci salutiamo.

Il nostro prossimo candidato si fa chiamare “Nic” e nel curriculum ha incluso un link al suo sito web. Ma il ragazzo che abbiamo davanti non assomiglia molto alla foto sul portale. È il suo secondo colloquio con Wijckmans e siamo certi che stia mentendo: anche se lui non lo sa, è uno dei candidati che non ha superato gli accertamenti dopo il primo colloquio.

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L’inglese di Nic è peggiore di quello di Harry: quando gli viene chiesto che ora sono risponde “le sei dopo” prima di correggersi e dire “le sette meno un quarto“. Dove vive? “Per ora sono in Ohio“, dice, come un bambino che ha risposto bene a un quiz.

Dopo alcuni minuti, però, le sue risposte diventano insensate. Simon gli fa una domanda sulla sicurezza informatica. “I leader politici… i funzionari governativi o le agenzie responsabili della sicurezza dei confini – è la sua risposta –. Sono responsabili del monitoraggio e della sicurezza delle frontiere, in modo da poter impiegare il personale per pattugliare i confini e controllare i documenti e far rispettare le leggi sull’immigrazione“.

Mentre mi scrivo con Wijckmans su un canale secondario, ci viene un’illuminazione: qualunque sia l’intelligenza artificiale che Nic sta usando, deve aver frainteso l’espressione Border gateway protocol – un sistema per instradare il traffico su internet – con il concetto di “confine nazionale” (che in inglese si dice appunto border), iniziando a sproloquiare di leggi sull’immigrazione. “Che perdita di tempo“, mi scrive Wijckmans. Chiudiamo la conversazione bruscamente.

Cerco di mettermi nei panni di un responsabile delle assunzioni o di un selezionatore in un periodo di particolare pressione. A volte i truffatori possono dire cose senza senso, ma i punteggi che hanno ottenuto nei test e i loro curricula sembravano solidi e la loro infarinatura tecnica può essere sufficiente per ingannare un recruiter sprovveduto. Sospetto che almeno una delle persone con cui abbiamo parlato sia riuscita a passare alla fase successiva del processo di selezione di qualche ignara azienda.

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Wijckmans mi confida di avere un piano nel caso in cui dovesse imbattersi in un altro impostore. Ha creato una pagina web che assomiglia a un test di programmazione standard, che invierà ai falsi candidati. Non appena un finto candidato premerà il pulsante per iniziare la prova, il suo browser genererà decine di pop-up con informazioni su come disertare dalla Corea del Nord. In un secondo momento, il sito farà partire una canzone a tutto volume – Never Gonna Give You Up o l’inno nazionale degli Stati Uniti – e il computer inizierà a scaricare file a caso emettendo un bip insopportabile. Giusto una piccola vendetta, commenta l’imprenditore.

Ovviamente, la trovata di Wijckman non fermerà gli agenti nordocoreani. Ma forse li irriterà per un momento. Poi però i truffatori torneranno al lavoro, collegandosi dalla Cina o da un laptop negli Stati Uniti. Entreranno nella prossima riunione del “loro” team e – a telecamera rigorosamente spenta – faranno due chiacchiere con i loro “colleghi”. Persone come me o voi.

Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.



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