Agevolazioni sulla prima casa: cosa cambia e cosa c’è da sapere


Dalla “doppia esenzione” Imu per entrambi i coniugi appena sancita dai giudici di Cassazione, ai provvedimenti introdotti dalla Legge di Bilancio 2025 per le agevolazioni fiscali, sono diverse quest’anno le novità che riguardano la prima casa. Ecco le principali.

La “doppia esenzione” Imu
L’imposta municipale sulla prima casa (abolita dal 2008, quando si chiamava ancora Ici) ha generato un acceso dibattito negli anni. All’origine delle controversie, le differenti interpretazioni per godere dell’esenzione. In particolare, per le coppie.
Ai fini di “abitazione principale”, infatti, si intendeva l’unità immobiliare dove “il proprietario e i componenti del suo nucleo familiare hanno stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica”. Le norme richiedevano, dunque, che l’intero nucleo vivesse dentro le stesse mura domestiche: in pratica, una sola casa a famiglia poteva avere il beneficio fiscale.
Nel 2022, tuttavia, un primo pronunciamento della Corte costituzionale definì “incostituzionale” l’obbligo di coincidenza di dimora abituale e di residenza per tutta la famiglia, minando l’impianto di questa imposizione. Nonostante il parere della Consulta, però, spesso i Comuni hanno continuato ad applicare le regole più restrittive.
Nel 2024, la Cassazione è tornata sul tema precisando che per usufruire della “doppia esenzione”, ognuno dei coniugi deve avere la residenza anagrafica presso l’immobile per il quale chiede il vantaggio. Nel 2025 gli stessi giudici hanno riaffrontato la questione due volte, definitivamente chiarendo la spinosa diatriba in un’ordinanza del 13 aprile 2025.
Stando agli Ermellini, è legittima la residenza anagrafica separata dei coniugi presso indirizzi diversi anche nello stesso Comune. Tale scelta non pregiudica il vincolo affettivo: la decisione può essere presa di comune accordo per validi motivi ed esigenze private. Insomma, si può rimanere una coppia unita, pur vivendo “ognuno a casa sua”. In assenza di coabitazione della coppia, quindi, ogni coniuge può possedere un’abitazione e avere diritto all’esenzione Imu sulla rispettiva “prima casa” a patto di avere qui la residenza anagrafica e la dimora abituale.
Per denunciare eventuali truffe, i Comuni dispongono di diversi metodi di controllo – come, per esempio, i consumi di energia elettrica, acqua e gas – in grado di accertare se la persona abita effettivamente nell’immobile dichiarato come “prima casa” o no.

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I benefici per chi compra la prima casa
Fra le altre agevolazioni ordinarie da ricordare, ci sono quelle sull’acquisto. A partire dall’imposta di registro proporzionale con l’aliquota agevolata del 2% (invece del 9%) sul valore catastale dell’immobile, applicabile sull’acquisto da privati o imprese che vendono in esenzione Iva. Quanto alle imposte catastali e ipotecarie (versate dal notaio alla registrazione dell’atto), sono ridotte a 50 euro ciascuna.
Si tratta di un “risparmio” non di poco conto se si pensa che, per un’abitazione comprata con i benefici “prima casa” a un prezzo di 200 mila euro e con rendita catastale di 900 euro, si versa un’imposta di registro pari a 4 mila euro (invece di 18 mila euro al 9%) o, in caso si applichi il calcolo prezzo-valore, di 2.079 euro (invece di 10.206 euro).
Lo stesso vantaggio fiscale è riconosciuto anche a chi compra l’immobile da un’impresa soggetta a Iva: in tal caso, l’imposta sul valore aggiunto da versare è calcolata sul prezzo di vendita nella misura ridotta del 4% (anziché all’aliquota ordinaria del 10%). Per quanto riguarda le imposte di registro, catastali e ipotecarie, sono pari a 200 euro l’una.
Tali imposte agevolate, peraltro, si applicano anche alle pertinenze (benché comprate con atto di compravendita separato) limitatamente a una per ciascuna delle tre categorie ammesse (magazzini e cantine, rimesse e box auto, tettoie chiuse o aperte), a condizione che siano destinate al servizio dell’abitazione principale.
Restano sempre esclusi da qualsiasi esenzione o agevolazione gli immobili di lusso come ville, abitazioni signorili o di pregio.

Quando spettano o si perdono le agevolazioni: le novità del 2025
Occorre fare attenzione nelle compravendite immobiliari. Esenzioni e agevolazioni, infatti, si perdono in caso di dichiarazioni false o di mancato rispetto dei requisiti previsti. Vediamo quali. Innanzitutto, per godere dei benefici per l’acquisto della prima casa, l’acquirente non deve possedere un altro immobile nello stesso Comune e non deve essere titolare su tutto il territorio nazionale di diritti di proprietà, uso, usufrutto, abitazione o nuda proprietà, su un altro immobile acquistato usufruendo delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa (neppure in quota o in comunione con il coniuge). Se lo possiede, deve venderlo. Pena: la decadenza dei benefici.
Nel caso in cui l’acquisto avvenga nello stesso Comune dove si possiede già una “prima casa”, l’alienazione dell’immobile deve avvenire prima dell’acquisto della nuova abitazione principale. In tutti gli altri casi, il tempo concesso per farlo è maggiore: fra le novità della Legge di Bilancio 2025, infatti, è stato portato da 1 a 2 anni, a partire dalla data dell’atto di acquisto della nuova “prima casa”. Oltre tale termine, le agevolazioni sfumano, con conseguente pagamento delle imposte in misura piena e sanzione amministrativa del 30%.
È, inoltre, indispensabile che l’abitazione si trovi nel Comune dove l’acquirente ha la residenza (o lavora) o dove ha intenzione di trasferirla (se risiede altrove). L’impegno in tal senso va allegato al momento dell’atto e mantenuto entro 18 mesi dalla stipula dell’acquisto (altrimenti, anche in questo caso, decadono i vantaggi).
Nel 2023, la Cassazione ha esteso le agevolazioni per l’acquisto della “prima casa” anche agli immobili in fase di costruzione a patto che l’impegno dell’acquirente sia dichiarato all’atto di acquisto e fatto entro 3 anni dalla data di scadenza del potere di accertamento (l’Agenzia delle Entrate verifica entro 3 anni).
Un immobile acquistato con le agevolazioni di “prima casa”, infine, non può essere rivenduto o donato prima di cinque anni dal rogito. Unica eccezione: comprare un altro immobile destinato a prima casa entro un anno dalla cessione del primo da adibire in tempi “ragionevoli” a propria abitazione principale.
Discorso a parte merita l’Imu nel passaggio fra proprietari. Il più delle volte, gli acquisti di nuove case sono fatti da giovani che, avendo trovato un lavoro stabile, possono permettersi di lasciare i genitori o da nuove coppie che vanno a convivere. Ma il vecchio proprietario può trattenere il bene venduto per un imprevisto ritardo nel suo trasferimento altrove oppure i lavori di ristrutturazione dei nuovi entranti possono richiedere una durata superiore al previsto. Chi paga l’Imu nel frattempo? Il suggerimento degli esperti, in questo caso, è di prendere accordi durante la trattativa per il prezzo di acquisto, così da poter pattuire chi si fa carico del versamento dell’Imu (e fino a quando) al momento del rogito. Non abitare nell’immobile, infatti, non esime dal pagamento dell’Imu (anche se si beneficia delle agevolazioni “prima casa”) né è consigliabile spostare la residenza prima del subentro: nella malaugurata ipotesi di un controllo del Comune, scatta una sanzione e si può incorrere nel reato penale.

Le altre novità del 2025: conferma ed estensione dei mutui agevolati
Fra le ulteriori agevolazioni della Legge di Bilancio 2025, c’è il “bonus prima casa” prorogato fino al 31 dicembre 2027, con l’aumento della dotazione del Fondo di garanzia per la “prima casa” istituito dal 2014. Si sale da 130 di quest’anno a 270 milioni di euro nel 2026 e 2027.
Per sostenere l’acquisto della “prima casa”, l’incentivo prevede l’esenzione dalle imposte di registro, ipotecarie e catastali oltre all’accesso al credito facilitato. Si tratta della garanzia mutui per la “prima casa” riconosciuta da Consap, la Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici, che copre fino all’80% del prezzo dell’immobile acquistato (compreso di oneri accessori). Le garanzie sui mutui immobiliari, fino all’importo massimo di 250 mila euro, per il 2025 sono riservate a giovani coppie sposate o conviventi more uxorio da almeno due anni, nuclei monogenitoriali con figli minori conviventi, locatari di alloggi popolari e under 36 (a quest’ultimi, però, è riconosciuto solo l’accesso facilitato al mutuo ma non le altre esenzioni). Occorre un Isee non superiore a 40 mila euro annui.
Dal 2025, rientrano nell’agevolazione garanzia mutuo anche le famiglie numerose, con 3 o più figli minori di 21 anni: possono chiedere fino al 90% della quota capitale pur in presenza di limiti Isee fino a 50 mila euro annui, se si hanno 5 o più figli minori. I mutui garantiti possono essere chiesti anche per coprire i costi di ristrutturazioni o di efficienza energetica.
Per accedere al Fondo, è necessario presentare a una banca o intermediario finanziario aderente la richiesta di mutuo e la domanda per la garanzia Consap. Se autorizzato, le banche non possono richiedere ai mutuatari garanzie aggiuntive (eccetto l’ipoteca sull’immobile stesso).

I bonus per lavori di ristrutturazione nel 2025
Confermato ma, come noto, rimodulato anche il bonus ristrutturazioni: per il 2025, lo sconto Irpef riconosciuto per i lavori si restringe al 50% solo per la prima casa, con un tetto di spesa di 96 mila euro (che scenderà al 36% nei successivi due anni). La detrazione deve essere suddivisa in 10 rate annuali di pari importo da compensare a partire dall’anno successivo a quello della spesa. L’importo massimo della detrazione, però, va verificato caso per caso in quanto variabile anche in funzione del carico familiare riordinato, come noto, dalla Legge di Bilancio 2025.
Tra le novità principali, spicca il divieto per i familiari del proprietario che sostengono le spese di ristrutturazione di usufruire della detrazione piena (si possono detrarre solo il 36%). Inoltre, il limite di reddito per la detrazione massima ha soglie differenziate a seconda della presenza di figli minori. In generale, la spesa massima detraibile aumenta in base al numero di figli.
Per massimizzare il vantaggio fiscale, nel caso di coppie comproprietarie senza figli con reddito inferiore ai 100 mila euro annui vale la pena attribuire la maggioranza delle spese al coniuge con reddito inferiore (sfruttando meglio l’aliquota al 50%). Viceversa, con la stessa soglia ma in presenza di figli, è più vantaggiosa la detrazione a carico del coniuge con reddito più alto mentre l’altro può detrarre le spese per i figli (al 19%).
Se la “prima casa” è intestata solo a un coniuge mentre sostiene le spese il “non proprietario” l’agevolazione del bonus ristrutturazioni applicabile è al 36%. Quindi, meglio far detrarre al proprietario per beneficiare dell’aliquota più alta. Se si hanno più figli a carico, la strategia più proficua è verificare la capienza fiscale del coniuge proprietario per assegnargli la detrazione più vantaggiosa.
Stando alle nuove norme, inoltre, per beneficiare della detrazione fiscale del 50% sui lavori di ristrutturazione sulla “prima casa”, l’immobile deve risultare a disposizione del proprietario (ovvero titolare del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento) e contribuente che sostiene le spese per gli interventi sulla sua abitazione principale. In pratica, è sufficiente che l’immobile sia di proprietà e le spese per i lavori vengano documentate correttamente tramite bonifico parlante.

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Immobili e pertinenze ristrutturate con Superbonus
Meno noti i tre “bonus acquisti edifici residenziali ristrutturati” previsti dalla Legge di Bilancio 2025, per chi compra immobili ristrutturati con i precedenti bonus. Le aliquote applicabili per il calcolo della detrazione sono uguali per tutti, ma varia la base imponibile: si tratta del 25% forfettario del prezzo riportato nell’atto di compravendita o del valore di assegnazione dell’immobile (fino a un massimo di 96 mila euro) nel caso di abitazioni, dell’importo delle spese imputabili alla realizzazione del posto o box auto (sempre fino a un massimo di 96 mila euro) e del prezzo dell’unità immobiliare consolidata con interventi antisismici (parimenti, entro il tetto di 96 mila euro). La detrazione segue le stesse regole degli altri bonus: ovvero il 50% nel caso il compratore usi immobile ristrutturato e pertinenze come “prima casa” o al 36% se l’acquisto si riferisce a una seconda casa (per esempio, di villeggiatura). L’unità immobiliare deve far parte di un edificio sul quale sono state eseguite opere di restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia da parte di un’impresa o cooperativa edile (i lavori devono riguardare l’intero edificio e non il singolo appartamento). È necessario che la ditta venda o assegni l’immobile ristrutturato all’acquirente entro 18 mesi dalla data del termine dei lavori.
Per quanto riguarda la vendita di un immobile ristrutturato usufruendo del cosiddetto “Superbonus 110%” prima di 10 anni dalla fine dei lavori, dal 2024, la plusvalenza realizzata sull’immobile (ovvero la differenza fra prezzo di acquisto e prezzo di vendita) rientra fra i “redditi diversi” ed è soggetta all’imposta sostitutiva del 26%. Ma tale disciplina non si applica agli immobili che sono “prima casa” del cedente (o dei suoi familiari) per la maggior parte dei dieci anni antecedenti la vendita (o per la maggior parte degli anni fra acquisto e vendita nel caso siano trascorsi meno di dieci anni) e anche agli immobili acquisiti per successione.
Ai fini del calcolo della plusvalenza, vale la differenza fra il corrispettivo percepito e il prezzo di acquisto o del costo di costruzione dell’immobile aumentato degli altri costi sostenuti (nel caso di donazioni, dal donante). Previste differenze fra chi ha ceduto i crediti o si è avvalso dello sconto in fattura (il calcolo della plusvalenza è meno penalizzante) e chi, invece, ha fatto interventi edilizi agevolati con Superbonus 110% (ma anche 65%, 70% e 90%) portandolo in detrazione (in questo caso, i costi sostenuti sono considerati interamente ai fini del calcolo della plusvalenza).



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