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La formazione antincendio non è un optional: le responsabilità del datore di lavoro secondo la Cassazione – Artser


Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4165 del 31 gennaio 2025) offre spunti importanti per comprendere il ruolo centrale della formazione antincendio all’interno del sistema di prevenzione aziendale. Il caso giudiziario, che ha confermato la responsabilità penale del datore di lavoro per gravi lesioni riportate da un dipendente, sottolinea l’importanza di una formazione mirata e specifica, non solo come obbligo normativo, ma come strumento concreto di tutela.

Come evidenzia l’avvocato Rolando Dubini, penalista del Foro di Milano: “Il cuore della vicenda giuridica risiede nella verifica dell’adeguatezza della formazione e informazione ricevute dal personale sui rischi d’incendio. È questo il punto decisivo per stabilire se la condotta del lavoratore sia stata abnorme oppure conseguenza diretta della carenza di prevenzione, quindi imputabile al datore di lavoro.”

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Il caso: un incendio evitabile

Il fatto risale al 6 giugno 2017, quando un operaio, impegnato nel taglio di un profilato metallico con una mola angolare, ha inavvertitamente generato scintille che hanno colpito un contenitore di solvente posizionato sopra il banco da lavoro. L’impatto ha innescato un incendio. L’operaio, nel tentativo istintivo di portare fuori dal reparto il recipiente in fiamme, è stato investito da una colata di liquido incandescente, riportando ustioni gravissime sul 44% del corpo.

La Corte ha ricostruito l’accaduto sottolineando come il lavoratore abbia agito d’impulso, in totale assenza di conoscenze specifiche sulle procedure da seguire in caso d’incendio. Non si è trattato, quindi, di un comportamento “abnorme” o imprevedibile, ma di una reazione istintiva dettata dalla mancanza di formazione e addestramento.

Le argomentazioni del datore di lavoro

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Il datore di lavoro, condannato in primo grado e in appello per lesioni colpose, ha presentato ricorso in Cassazione sollevando tre punti principali:

  • Carente motivazione sul nesso causale, contestando che non fosse stato chiarito in che modo una formazione più approfondita avrebbe evitato l’incidente.
  • Comportamento anomalo del lavoratore, ritenuto imprevedibile e contrario alle regole di sicurezza, quindi tale da interrompere il legame tra eventuali omissioni aziendali e l’evento.
  • Richiamo a precedenti sentenze che, secondo il ricorrente, escluderebbero la responsabilità del datore in presenza di condotte “esorbitanti” da parte dei dipendenti.

La posizione della Cassazione

La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso, sottolineando che le questioni sollevate dal datore di lavoro non toccavano aspetti di diritto sufficientemente innovativi da giustificare un nuovo giudizio. La Cassazione, infatti, interviene solo su questioni di legittimità (ossia sull’applicazione corretta della legge), non sulla rivalutazione dei fatti, che resta competenza dei giudici di merito.

“La Cassazione non ha ravvisato errori nell’interpretazione della normativa antinfortunistica – ha sottolineato a proposito l’avv. Rubini. Anzi, ha confermato che l’assenza o l’insufficienza della formazione antincendio costituisce una violazione grave e sostanziale degli obblighi di prevenzione.”

Condotta abnorme o prevedibile?

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Un passaggio chiave della sentenza riguarda l’interpretazione della condotta del lavoratore. Secondo i giudici, non è corretto parlare di comportamento abnorme quando un dipendente reagisce istintivamente a un principio d’incendio. In contesti privi di addestramento specifico, è prevedibile che il lavoratore agisca in base al “buon senso”, anche se in modo potenzialmente pericoloso.

La nozione di “condotta abnorme” – spesso invocata dal datore per escludere la propria responsabilità – si applica solo quando il lavoratore si discosta in modo radicale e imprevedibile dalle mansioni ordinarie. In questo caso, il tentativo (pur maldestro) di spegnere l’incendio rientra in una reazione plausibile, sebbene non efficace. “Un lavoratore non formato reagisce come può – osserva Dubini – e se manca una procedura chiara, l’improvvisazione non può essere considerata un’anomalia. È proprio la mancanza di istruzioni che trasforma una condotta impulsiva in una conseguenza prevedibile.

Le implicazioni per le PMI

Questa sentenza rappresenta un monito importante per tutte le imprese, in particolare per le PMI che talvolta, per limiti organizzativi o sottovalutazioni, tendono a considerare la formazione antincendio come un obbligo formale e non come un elemento strategico di sicurezza.

La Corte ribadisce che la formazione deve essere specifica, coerente con i rischi reali presenti nei luoghi di lavoro e, soprattutto, aggiornata e verificata. L’utilizzo di sostanze infiammabili o di attrezzature potenzialmente pericolose (come una mola) richiede un piano formativo mirato, che includa le conoscenze teoriche sui rischi, l’addestramento pratico all’uso dei presidi antincendio, le simulazioni di emergenza e la definizione di protocolli di evacuazione.

La decisione della Cassazione conferma quindi in via definitiva che la responsabilità del datore di lavoro non può essere elusa quando mancano formazione e istruzioni operative adeguate. La sicurezza non è mai un automatismo, ma una costruzione continua fatta di prevenzione, informazione e consapevolezza.



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